Abbiamo parlato con Iacopo Melio di emancipazione lavorativa

Redazione:

Iacopo Melio è un giornalista freelance con disabilità di notorietà nazionale. La sua storia ‘pubblica’ inizia nel 2014, con un articolo ironico di sua firma sulle barriere architettoniche diventato virale. In seguito, ha realizzato la campagna #vorreiprendereiltreno, oggi Onlus. Una storia ricca anche di diversi riconoscimenti, ultimo in termini di cronaca l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito conferita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Nel corso degli anni, Iacopo Melio si è fatto riconoscere per la sua carriera giornalistica. Il lavoro, appunto. Un argomento che, nel mondo della disabilità, è spesso oggetto di numerosi dibattiti, primo tra tutti di tipo umano. Perché? Beh, c’è chi pensa ancora che il disabile non possa avvicinarsi a questa dimensione sociale. E, conseguentemente, ottenere un’indipendenza economica. Questo ed altri temi sono stati argomenti di una nostra chiacchierata proprio con Iacopo Melio.

Ciao Iacopo Melio e benvenuto su Heyoka. Qual è il tuo significato di Disabilità Positiva?

“Non esiste una ‘disabilità positiva’ o negativa. Esiste un modo di raccontare la disabilità che non etichetti, non crei compassione né pietà: quando facciamo capire che ognuno di noi è disabile se non ha gli strumenti per poter fare quel che fanno gli altri. Per questo la disabilità è una responsabilità sociale che potrebbe scomparire col supporto adeguato”.

Ti abbiamo contattato perché vorremmo sfatare il mito che una persona con disabilità non possa lavorare. Come mai, secondo te, esiste ancora il preconcetto che dipinge il disabile come ‘incapace per antonomasia’?

“Perché i disabili vengono visti come spese e non come risorse o investimenti. Ognuno di noi non sa fare qualcosa, così come ognuno di noi sa fare qualcosa: dobbiamo imparare a evidenziare le abilità e non le difficoltà di una persona. Lo si fa, come dicevo, cambiando il concetto di disabilità stessa, che non è un’etichetta fissa ma una condizione di svantaggio momentanea legata ad un preciso contesto”.

C’è chi pensa che l’impiego più comune per una persona con disabilità sia l’operatore ai call center. È vero?

“Sì, è vero, a meno che non abbia una pessima voce come la mia! Di certo il tele-lavoro è una risorsa preziosa oggi, e qualsiasi professione da casa oppure online deve essere valorizzata (i disabili dovrebbero avere, in questi settori, corsie preferenziali qualora desiderino accedervi). Però deve essere una scelta personale della persona con disabilità: non c’è solo quel mondo lavorativo, ognuno di noi è giusto che faccia ciò che ritiene giusto per sé o che pensa di saper fare bene”.

Ci sono altri miti da sfatare nel binomio lavoro-disabilità?

“Un sacco. Il più grande è a monte: si pensa che un disabile non possa o, ancor peggio, non voglia lavorare in virtù del fatto che percepisce una pensione mensile (seppur minima). Io non voglio certo essere mantenuto dallo Stato, la pensione serve a pagarsi medicine, visite, e altro di sanitario. Per il resto, ognuno dovrebbe essere messo in condizione di mantenersi ed essere autonomo professionalmente (quando possibile, ovvio)”.

Domanda banale quanto millenaria: possiamo dire che esiste un problema di assunzione per le persone con disabilità?

“Certo. Basti pensare che c’è una legge che obbliga l’assunzione di una persona con disabilità ogni tot. dipendenti ‘normodotati’. Sebbene questo venga rispettato quasi sempre nel settore pubblico, poche volte questo accade nel settore privato: le aziende preferiscono correre il rischio ed eventualmente pagare una multa piuttosto che assumere una categoria protetta (che paradossalmente gli costerebbe di più). È assurdo”.

Nel corso degli anni, hai ottenuto una tua dimensione lavorativa nel giornalismo. Quali sono stati gli ingredienti che ti hanno permesso di sdoganare la tua figura dall’essere visto solo per la tua disabilità?

“Semplicemente mi sono autogestito. Ho iniziato aprendo un blog, poi una pagina Facebook, e dai tempi delle superiori ho scritto su internet. Prima per nessuno, poi per un piccolissimo pubblico, poi per qualche giornale online semi-sconosciuto, finché i miei lettori non sono aumentati con gli anni fino ad ‘esplodere’ nel 2014 con un mio articolo diventato virale. Da lì sono aumentate le persone e così anche l’interesse dei primi giornali più seri, fino ad arrivare a Fanpage, TPI e Repubblica dove collaboro adesso come freelance. Anche se molti non lo sanno e non sembra, è stato un percorso graduale fatto di tante testate contro un muro”.

Quando un volto diventa molto noto, la sua disabilità è inquadrata meno nell’ottica dell’opinione pubblica. Come mai questo accade? E’ possibile che una persona con disabilità comune possa ottenere un’indipendenza lavorativa senza che la sua disabilità venga sindacalizzata sempre e comunque?

“Non è vero che la disabilità scompare, è solo che quella persona diventa un ‘esempio’ e una fonte di ispirazione per molti (in modo più o meno giusto e lecito, perché sfociare nell’abilismo motivazionale è facile ed è controproducente), così quella disabilità non diventa solo un limite ma anche un punto di forza e un ‘valore’ positivo. Nel lavoro la disabilità non dovrebbe essere sottolineata proprio perché qualcuno viene assunto perché sa fare qualcosa, non perché non sa fare qualcosa: dunque a che serve rimarcare i suoi impedimenti?”.

Secondo Iacopo Melio, le attuali condizioni di legge presenti in Italia sono positive per i lavorati con disabilità?

“Non molto, di certo non nel privato, come già ho spiegato. Una persona con disabilità ha un’oggettiva scelta ridotta di mestieri (escludendo tutti quelli fisici), perciò credo che dovrebbe esserci davvero una corsia preferenziale che tuteli i disabili per trovare lavoro in modo facile, in base alle loro attitudini. Inoltre, il lavoro online o il telelavoro è poco sviluppato e valorizzato nel nostro Paese, quando in realtà dovrebbe esserlo per tutti, non solo per chi è disabile, essendo il futuro”.

Quando si parla di lavoro, inevitabilmente si guarda al sistema scolastico. C’è qualcosa da migliorare anche nel modello dell’istruzione attuale?

Sensibilizzare i bambini. Loro sono il futuro e i cittadini di domani: fargli ‘toccare’ da vicino la disabilità significa renderli degli adulti più consapevoli e meno spaventati, e perciò più propensi non solo a rapportarsi con la disabilità ma anche capaci a ‘non vederla’ quando necessaria”.

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