La scrittrice Anna Adamo per la disabilità senza limiti

Redazione:

Apro la mail e mi appare il nome di Anna Adamo. Leggo il contenuto, la storia di una scrittrice con tetraparesi spastica di 22 anni. Vive a Scafati, in provincia di Salerno, e frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Salerno.

Negli ultimi anni, però, il nome di Anna Adamo risuona ovunque per via del suo libro autobiografico, La Disabilità non è un Limite. Un titolo, quasi uno slogan, affine al concetto di Disabilità Positiva di Heyoka. “La cosa più bella che possa esistere – mi dice Anna Adamo al telefono -. Perché di disabilità si parla poco. Quando se ne parla in maniera positiva, a me piace molto di più”.

Secondo te, Anna Adamo, che cos’è la Disabilità Positiva?

“È la capacità di reagire a una condizione che spesso può essere invalidante. Ovvero trasformare quella condizione che può essere invalidante non in un limite, ma in un punto di forza. In un qualcosa da insegnare agli altri”.

Tu hai scritto proprio un libro su questo, il cui titolo è abbastanza evocativo. In che senso la disabilità non è un limite?

“La disabilità non è un limite nel momento in cui noi stessi facciamo di tutto affinché non lo sia. O meglio, andiamo oltre i limiti che la vita ha cercato di imporci. Se si vuole si può fare tutto, certo. La persona con disabilità lo fa con qualche difficoltà, però comunque riesce a farla in qualche modo. Volere è potere”.

Qual è stato l’impulso che ti ha motivato a scrivere un libro di questo tipo?

“Proprio dall’aver visto che di disabilità se ne parla molto poco o in maniera superficiale. Perché non si dà spazio alle testimonianze dirette, non c’è ascolto. I disabili molto spesso non sono ascoltati, non sono neanche ascoltate le famiglie di questi ultimi. E nella maggior parte dei casi vivono in condizioni di disagio o di difficoltà“.

Però possiamo convenire che da 10 anni a questa parte si parla un po’ di più di disabilità, anche se con un sentimento pietistico. Secondo Anna Adamo, quali sono quegli argomenti che fanno fatica a emergere?

“Più che tanti argomenti, ci sono tanti tabù. Secondo me oggi la disabilità, per quanto siano stati fatti dei progressi, è ancora considerata un mondo a parte, non una parte del mondo. Ad esempio, ci sono ancora problemi per quanto riguarda gli insegnati di sostegno. Non è possibile che solo un ragazzo su tre abbia un insegnante di sostegno per poche ore a settimana. Questo è impensabile, così come i tagli che sono stati fatti per quanto riguarda la fisioterapia. Ci sono ragazzi disabili che vivono attraverso la fisioterapia e saltare un giorno di fisioterapia per loro significa tornare indietro, quindi mollare tutti i progressi fatti nel corso degli anni”.

Immagino che riporti anche tutto questo nel libro.

“Racconto la mia esperienza, quelle che sono state tutte le difficoltà, i numerosi interventi chirurgici, ma anche il rapporto con gli altri. Perché poi, quando si è disabili va tutto bene fino a quando si è tra le quattro mura insieme alla famiglia, la quale magari cerca di non far pesare la condizione. Però i problemi nascono quando si fuoriesce da questo ambiente. E così si affronta il mondo della scuola, laddove molto spesso i ragazzi disabili non sono accettati, visti come un ostacolo. A me è capitato da piccolo che gli insegnanti non vollero portarmi in gita perché ritennero che io rallentassi il loro percorso”.

Quali sono stati i riscontri in merito alla tua pubblicazione?

“Sono stati veramente positivi, devo dire sono davvero tante le persone che mi scrivono sia per complimentarsi, per dire che attraverso la mia esperienza loro hanno il coraggio di reagire, di fare cose che mai avrebbero pensato di fare, e sia persone che mi scrivono per chiedermi qualche consiglio. Molto spesso sono dei genitori che non sanno come affrontare un determinato problema, e chiedono un consiglio per capire da dove iniziare”.

Anna Adamo, tu relazioni il concetto della femminilità con quello della disabilità. Secondo te, che cos’è la bellezza universale?

“La bellezza è un qualcosa che appartiene a tutti. La bellezza non è avere un corpo perfetto, risiede soprattutto nelle imperfezioni. Nella capacità di abbracciarle e cercare di trasformare il perfezione. Ma la perfezione non è altro che lo stare bene con sé stessi e con il proprio corpo. Quindi la capacità al non rinunciare di essere donna nonostante una disabilità”.

Nel momento in cui ottenessi il ruolo di avvocato o giudice, quale sarebbe la tua prima operazione sociale per la disabilità?

“Innanzitutto favorire l’inclusione mediante un percorso di tipo culturale. Inserire in primis all’interno delle scuole dei percorsi formativi, degli incontri tra ragazzi disabili e normodotati affinché ci sia confronto, affinché si faccia capire alle persone normodotate che la disabilità non deve essere vista come una paura, ma come un qualcosa di normale, qualcosa che può insegnare e dalla quale poter trarre degli insegnamenti. Poi c’è bisogno di leggi: è impensabile che ai disabili si diano 280 euro al mese. È necessario un aumento delle pensioni d’invalidità. E ci sono le barriere architettoniche: ragazzi in carrozzina sono costretti a stare in casa perché le nostre strade non sono adatte alle persone disabili, sono piene di dossi, hanno marciapiedi alti, molto spesso non ci sono le discese. In alcuni parcheggi non c’è neanche il posto per disabili. Questo non va bene, ci vuole un’obbligatorietà”.

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