Essere attori con disabilità nel grande e piccolo mondo dello spettacolo

Redazione:

Oggi essere attori con disabilità ha tutto un altro sapore. Certi tabù o cliché sono infranti, e non c’è più una larga discriminazione. Anzi, se una persona con disabilità si mostra capace in questo lavoro, spesso diventa la prima scelta. Per questo, possiamo parlare di Disabilità Positiva. Anche se persistono (ancora) discorsi aperti legati al mondo degli attori disabili su grande e piccolo schermo.

Quando gli attori con disabilità erano vittime di stereotipi

Gli stereotipi sono duri a morire, anche nel mondo dello spettacolo. Tuttavia, vale la pena ammetterlo: qualcosa rispetto al passato è decisamente cambiato, siamo di fronte a una società internazionale differente. Per comprendere tale cambiamento, osserviamo brevemente la storia degli attori con nanismo, da sempre ‘denigrati’ nell’essere scelti semplicemente per ruoli cinematografici e televisivi riguardanti la loro statura (vi dice niente Gnome Alone?).

Recentemente, anche l’Hollywood Reporter ne realizzò un approfondimento. La discriminazione più tetra, però, è raccontata da The Munichkins of Oz, libro di Stephen Cox: i 124 Mastichini presenti nella pellicola del 1939 Il Mago di OZ furono acquistati da famiglie contadini. Acquistati, non scritturati. A complicare ulteriormente il quadro, fu l’autobiografia di Sidney Luft, il terzo dei cinque mariti di Judy Garland (la giovane Dorothy de Il Mago di Oz). Nella sua versione dei fatti, Luft parla di uno stupro alla moglie ad opera, sembrerebbe, proprio di un attore con nanismo. Accuse respinte con forza da Margaret Pellegrini, una dei Mastichini: “C’erano molti a cui piaceva bere qualche drink, ma niente sfuggiva di mano. Non c’era violenza o altro di questo tipo”.

Siamo di fronte a una società più inclusiva?

In questi anni i preconcetti attorno agli attori con disabilità sono ridimensionati. Spesso riconosciamo un artista prima per le sue capacità e poi per la sua disabilità. L’esempio più lampante riguarda Peter Dinklage, il Tyrion Lannister di Game of Thrones. Una figura selezionata per interpretare il ‘folletto’ della casata Lannister che, col passare delle stagioni televisive, ha assunto una caratterizzazione e profondità tale da divenire uno dei personaggi più amati della serie. L’attore stesso ne ha giovato, chiamato in causa in diverse altre pellicole di successo.

Ma da dove arriva tutta questa inclusione culturale? In parte dagli anni Ottanta (anche se, all’epoca, alcune pellicole erano molto denigratorie). Ricordiamo, ad esempio, Michael J. Fox, il cui Morbo di Parkinson non gli ha impedito di interpretare numerosi ruoli cinematografici anche dopo il successo di Ritorno al Futuro. Un altro è Robin Williams, a cui da bambino fu diagnosticata la sindrome da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD). Guardiamo anche all’Italia, perché abbiamo attori con disabilità di spessore. Una è Giovanna Vignola, presente nel film da Oscar La Grande Bellezza (2013). Senza dimenticarci di Simone Martucci, noto ai più come Simoncino per i suoi video rap su YouTube, per poi diventare attore nell’opera cinematografica Brutti e Cattivi (2017). Ognuno dei nomi sopracitati si è distinto per le proprie caratteristiche artistiche, e non per la propria disabilità.

Quando il ruolo è interpretato da un disabile

Sì, siamo di fronte a una Disabilità Positiva. Quando un attore con disabilità emerge grazie alla propria bravura, facciamo parte di una società che include una risorsa a tutti gli effetti. Pensiamo, ad esempio, a Micah Fowler, giovane americano con paralisi cerebrale, protagonista della serie tv Speechless nel ruolo di JJ DiMeo, un ragazzo disabile. Recentemente, inoltre, la Marvel ha fatto un’operazione simile, scritturando per il ruolo di Makkari (supereroina sorda del film Eternals) l’attrice sorda Lauren Ridloff, nota per essere Connie in The Walking Dead.

Cosa significa? Saper dare valore alla capacità, ai sacrifici e alle potenzialità degli attori con disabilità aiuta a considerare tali persone come individui. Cioè, rendere la disabilità parte integrante della società. La sottile differenza tra passato e presente sta tutta qui: scegliere la disabilità non solo perché serve un personaggio con quella condizione, ma in quanto certi attori con disabilità danno un valore aggiunto al film di riferimento.

Se il ruolo disabile passa a un normodotato

Resta comunque un discorso ancora aperto. Di fatto, sono in molti a storcere il naso nel vedere un normodotato interpretare una persona con disabilità. Nel film Un amore all’altezza (2016), ci fu un ampio dibattito riguardo alla preferenza di un attore francese di 183 centimetri, Jean Dujardin, per il ruolo di una persona di bassa statura. Qualcosa di simile capitò nel 2012, quando la no-profit Little People of America accusò la Universal di non aver chiamato attori con nanismo per uno dei film su Biancaneve. In Italia, una diatriba analoga nacque dopo Sei mai stato sulla Luna?, pellicola del 2015 con Neri Marcorè nei panni di uomo con ritardo mentale. Fu una delle tante occasioni in cui la comunità si divise tra la bravura dell’attore nell’interpretare un ruolo ‘diverso’ e chi chiedeva di scegliere tra attori con disabilità.

Cosa fare? Migliorare gli attori

Forse, un modo per sciogliere tutti i nodi del pettine c’è. Migliorare l’offerta degli attori con disabilità, dare loro eque opportunità di carriera e sensibilizzare il mondo (dello spettacolo e della società) a porre maggiore attenzione in chi mostra bravura, competenza e professionalità, sempre e comunque. Anche questa è Disabilità Positiva.

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