Walter De Benedetto: una storia sulla cannabis terapeutica

Redazione:

Negli ultimi mesi si fa un gran parlare di Walter De Benedetto, di cannabis e della sua assoluzione. Un caso mediatico che ha fatto il giro di giornali e televisioni e che ha posto l’accento su una questione molto delicata: la cannabis terapeutica. Facciamo chiarezza e andiamo a ripercorrere le tappe principali di questa vicenda che è stata ripresa da tutti i media.

Chi è Walter De Benedetto?

Walter De Benedetto è una persona con una grave forma di artrite reumatoide. Questa malattia infiammatoria è cronica e colpisce in modo energico le articolazioni (piccole e grandi). Col passare del tempo, diventano dolenti, deformate e tumefatte. Nelle forme più gravi, può colpire anche i polmoni, gli occhi, la cute e i vasi.

La cannabis lo aiuta a “gestire” il dolore e gli consente di allontanare (almeno momentaneamente) le atroci sofferenze di questa patologia invalidante. La carenza di farmaci cannabinoidi (prescritti dal medico) nelle sue farmacie di riferimento lo “costringe” a produrre in autonomia delle piantine. Dopo una prima condanna per spaccio, è arrivata una sentenza storica destinata a cambiare per sempre il nostro modo di concepire l’argomento.

storia walter de benedetto

L’assoluzione di Walter De Benedetto: sentenza storica

Il giudice del Tribunale di Arezzo Fabio Lombardo ha dichiarato che Walter De Benedetto non è colpevole di spaccio. Una sentenza storica che ribalta completamente una storia cominciata due anni fa con un blitz dei carabinieri nella sua abitazione. I militari erano entrati e avevano scoperto una serra adibita alla coltivazione di piantine di cannabis.

Da quel giorno, Walter ha dovuto “combattere” contro l’accusa di spaccio. I legali di WalterClaudio Miglio e Lorenzo Simonetti, sono riusciti a far ribaltare la sentenza: “Walter è stato assolto perché dichiarato non colpevole di voler spacciare quanto invece aveva necessità di consumare per uso terapeutico”.

Curare con la cannabis: una storia di luci e ombre

Secondo i legali di Walter De Benedetto, la quantità erogata dal servizio sanitario non è sufficiente. E non riguarda solo la condizione di Walter, ma tutti i malati che necessitano di cannabis terapeutica. Per questo motivo, la battaglia di Walter è diventata la battaglia di tutti, tanto che nelle settimane successive in diverse piazze d’Italia sono state organizzate alcune manifestazioni capeggiate da Meglio Legale e 6000 sardine.

Per Riccardo Magi, deputato di +Europa che ha seguito la vicenda di Walter da vicino cedendogli anche una cima di erba della sua coltivazione, “l’assoluzione di De Benedetto è un grido rivolto al Parlamento. La sentenza dà speranza a chi si batte per il diritto di troppi malati di ricevere le cure a base di cannabis che oggi è negato dallo Stato italiano. Ma dà anche speranza a chi, come noi, insieme a Walter crede non sia rinviabile una riforma del testo unico sugli stupefacenti a partire dalla completa depenalizzazione della coltivazione domestica per uso personale verso una vera legalizzazione della cannabis”.

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La lettera di Walter De Benedetto a Mattarella

La vicenda di Walter De Benedetto aveva suscitato così tanto clamore anche per la lettera che l’uomo aveva scritto al Presidente Mattarella. Una missiva infuocata, che è diventata in poco tempo una sorta di manifesto per le associazioni e i malati che combattono la battaglia della cannabis terapeutica da anni. La riportiamo in modo integrale per dare voce a un grande combattente che è riuscito a vincere “una battaglia” storica che si combatteva da anni.

Questa lettera ha trovato il supporto di da 20mila firme raccolte grazie alla campagna Meglio Legale, promossa anche da Radicali Italiani.

Caro Presidente Mattarella,

mi appello a Lei perché la mia richiesta di aiuto è anche un atto di accusa contro un Paese che viola il mio diritto alla salute, il mio diritto a ricevere cure adeguate per mio dolore. Che è un diritto garantito dall’articolo 32 della Costituzione.

E non solo non mi garantisce questo diritto fondamentale, ma mi persegue davanti alla legge per aver provato a risolvere da me il mio stato di necessità. Oggi oltre ad essere malato e inchiodato a un letto sono anche indagato davanti al tribunale di Arezzo per coltivazione di cannabis.

Caro Presidente, mi appello a Lei perché non ho più tempo per aspettare i tempi di una giustizia che ha sbagliato il suo obiettivo, e non ho più tempo di aspettare le ragioni di istituzioni così caute da essere irresponsabili. Il dolore non aspetta.

Mi sono già rivolto al nostro governo, e al presidente della Camera lo scorso anno: da allora la mia malattia è andata veloce ed è andata veloce anche la giustizia: così mi trovo indagato per le piante di cannabis coltivate nel mio giardino con l’aiuto di un amico. Chi non è andato affatto veloce, e anzi è rimasto fermo, è questo governo e questo Parlamento.

La mia malattia si chiama ‘Artrite reumatoide’, mi è stata diagnosticata a sedici anni dopo tre mesi di febbre altissima. Si tratta di una malattia degenerativa e negli ultimi anni è avanzata a grandi passi, costringendomi a letto e soprattutto costringendomi a sopportare un dolore non sopportabile eppure continuo. Non c’è una cura per la mia malattia, ma c’è il modo di soffrire un po’ meno. E con la cannabis io riuscivo a soffrire un po’ meno. Ma, anche se ne ho diritto e se ho una prescrizione medica che me lo consente, non riesco a ottenere la quantità giusta che mi occorre per affrontare il dolore che quotidianamente mi accompagna.

Per questo ho deciso di fare da me, di coltivare delle piante di cannabis nel mio giardino. Perché io al mercato nero non ci vado, alla criminalità organizzata non darò mai un centesimo.

La conseguenza è stata che oggi sono senza terapia e per giunta sono indagato, e rischio il carcere. Ho violato la legge per stato di necessità e ora me ne assumo la responsabilità.

La cannabis è illegale nel nostro paese, e questo fa sì che ancora oggi rimangono tabù sul suo utilizzo medico. Per come la vedo io, Presidente, ad essere illegale dovrebbe essere solo il dolore.

Caro Presidente, io rimango, nonostante tutto, aggrappato alla vita. Ma il dolore non aspetta. Ed è un vostro dovere istituzionale confrontarvi con questa mancanza.

Angelo Dino Surano
Giornalista, addetto stampa e web copywriter con una passione particolare per le storie di successo. Esperto in scrittura vincente e comunicazione digitale, è innamorato della parola e delle sue innumerevoli sfaccettature dal 1983. La vita gli ha messo davanti sfide titaniche e lui ha risposto con le sue armi più potenti: resilienza e spirito di abnegazione. Secondo la sua forma mentis, il contenuto migliore è quello che deve ancora scrivere.

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