Salario minimo: a cosa serve, come funziona, dove esiste in Europa e Italia

Redazione:

Il salario minimo è l’ammontare di una retribuzione minima che, tutelata dalla legge, deve essere garantita dal datore di lavoro al lavoratore per la mansione eseguita in un dato arco temporale, e nessun accordo o tipologia contrattuale può far scendere la cifra imposta. In sintesi, si tratta di una soglia minima di stipendio.

In base al Paese in cui tale legge viene approvata, il limite minimo può essere di importo diverso e può riguardare ogni lavoratore o singoli settori. Nel mondo e in Europa sono diverse le nazioni che hanno introdotto tale iniziativa, che è più antica di quanto possa sembrare. Nonostante ciò, è comunque un tema ampiamente divisivo, soprattutto in campo politico.

Salario minimo nel mondo e in Europa: dove esiste?

I primi paesi a scegliere il salario minimo sono stati Nuova Zelanda (1984), Australia (1896), Regno Unito (1909) e Stati Uniti d’America (1938). Focalizzandoci sulla situazione europea invece, il salario minimo è ampiamente diffuso in 21 stati dell’UE su 27: non esiste in Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia, dove le paghe sono stabilite da contrattazioni collettive tra parti sociali e aziende, che possono dipendere dal settore di riferimento o dal singolo contratto.

Probabilmente anche con lo scopo di uniformare la situazione generale, il 7 giugno 2022 l’Unione Europa ha annunciato di aver raggiunto un accordo sul salario minimo: di fatto l’intesa tra Consiglio, Parlamento e Commissione UE ha messo in campo una serie di procedure per l’adeguamento dei salari minimi legali. In soldoni, fissa un quadro generale delle paghe minime orarie e rafforza la contrattazione collettiva. Ora il testo dovrà essere approvato da Parlamento e Consiglio europeo.

Prima di questa (storica) decisione, nel continente europeo il salario minimo era già ampiamente diffuso, e ognuno dei paesi che ha sperimentato e accolto questa iniziativa ha emanato le proprie soglie minime. In base ai dati di Eurostat aggiornati al gennaio 2022, abbiamo la seguente classifica:

  • Lussemburgo: 2.257 euro al mese;
  • Irlanda: 1.774,50 euro al mese;
  • Paesi Bassi: 1.725 euro al mese;
  • Belgio: 1.658,23 euro al mese;
  • Germania: 1.621 euro al mese;
  • Francia: 1.603,12 euro al mese;
  • Spagna: 1.125,83 euro al mese;
  • Slovenia 1.074,43 euro al mese;
  • Portogallo: 822,50 euro al mese;
  • Malta: 792,26 euro al mese;
  • Grecia: 773,50 euro al mese;
  • Lituania: 730 euro al mese;
  • Polonia: 654,79 euro al mese;
  • Estonia: 654,00 euro al mese;
  • Repubblica Ceca: 651,70 euro al mese;
  • Slovacchia: 646 euro al mese;
  • Croazia: 623,70 euro al mese;
  • Ungheria: 541,73 euro al mese;
  • Romania: 512,26 euro al mese;
  • Lettonia: 500 euro al mese;
  • Bulgaria: 332,34 euro al mese.

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salario minimo in europa

La proposta di legge sul salario minimo in Italia

In Italia il dibattito sul salario minimo è molto più profondo di quanto pensiamo. Ad esempio, secondo una ricostruzione di Pagella Politica, nel 2014 il Jobs Act del governo Renzi prevedeva una legge delega che promuovesse un decreto per “il compenso orario minimo” per il lavoro subordinato e i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Un discorso che si è tradotto in un nulla di fatto.

Quattro anni dopo, sempre sponda PD, fu presentato un nuovo disegno di legge a firma del senatore Tommaso Nannicini (“Norme in materia di giusta retribuzione, salario minimo e rappresentanza sindacale”), un po’ diverso da quello precedente.

In questo caso infatti, si parlava di un “trattamento minimo tabellare stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dalle associazione di rappresentanza”. Per gli altri settori invece, sarebbe stato istituito “il salario minimo di garanzia quale trattamento economico minimo che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore a cui si applica la disciplina del lavoro subordinato”. A tal fine, veniva proposta l’istituzione di una Commissione paritetica “per l’individuazione dei criteri di maggiore rappresentatività delle as­sociazioni sindacali dei lavoratori e delle as­sociazioni nazionali di rappresentanza dei datori di lavoro, nonché degli ambiti e della efficacia dei contratti collettivi”.

Infine nel luglio 2019 fu presentato il disegno di legge “Disposizioni per l’istituzione del salario minimo orario” dell’ex ministra del Lavoro nel Governo Conte II e attuale senatrice del M5S Nunzia Catalfo, all’interno del quale si parla di un “trattamento economico comples­sivo, proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro”, la cui paga non deve essere inferiore a 9 euro all’ora “al lordo degli oneri contributivi e previdenziali”. Dal 10 maggio 2022 è in corso di esame in Commissione Lavoro in Senato.

Prima ancora però, ci sarebbe la Costituzione Italiana a parlare in maniera velata del salario minimo. Ci stiamo riferendo all’articolo 36, comma 1: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Infine tra giugno e luglio 2023 una nuova proposta di legge ha trovato terreno fertile in un’azione congiunta tra varie opposizione al Governo Meloni: Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Sinistra italiana, Europa verde, Azione e +Europa (tranne Italia Viva) vogliono introdurre il salario minimo a 9 euro l’ora, oltre ad altre tutele e misure:

  • riconoscere al lavoratore un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi;
  • la giusta retribuzione non deve riguardare solo i lavoratori dipendenti, ma anche i para-dipendenti e i lavoratori autonomi;
  • istituzione di una commissione composta da rappresentanti istituzionali e dalle parti sociali con lo scopo di aggiornare periodicamente il minimo salariale;
  • riconosciuta per legge l’ultrattività dei contratti di lavoro scaduti o disdettati;
  • sostegno ai datori di lavoro per i quali l’adeguamento sarà più pesante.

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Perché in Italia non esiste una legge sul salario minimo?

Tecnicamente parlando, in Italia uno stipendio minimo esiste già, ed è basato sulla contrattazione collettiva nazionale. Ci sono però due problemi: ogni mestiere presenta una contratto collettivo diverso e ce ne sono oltre 900. Probabilmente il salario minimo garantirebbe una maggiore tutela, anche di controllo da parte degli organi competenti.

Nonostante esista anche una direttiva europea in merito al minimo salariale, l’Italia non è obbligata a recepirla. L’Europa infatti vuole condizioni favorevoli per chi presenta una copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80%, ma nel nostro Paese la percentuale è superiore.

Salario minimo: cosa dicono favorevoli e contrari

In Italia il salario minimo divide l’opinione pubblica, politica e sociale. I sostenitori di questa iniziativa ritengono che l’introduzione della misura aiuterebbe la qualità di vita dei lavoratori, riducendo le diseguaglianze sociali e la povertà. Inoltre, inciderebbe positivamente sul benessere lavorativo. Di contro, gli oppositori alla misura credono che la sua introduzione aumenterebbe la disoccupazione, e di conseguenza la povertà, oltre a causare un danno alle imprese.

A livello politico, come abbiamo visto precedentemente, i più grandi sostenitori del salario minimo sono il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Ma tra i favorevoli troviamo anche il segretario della Sinistra italiana Nicola Fratoianni, il leader di Azione Carlo Calenda e il segretario della Cgil Maurizio Landini. Dall’altra parte della barricata troviamo la Lega, Fratelli d’Italia, alcune sigle sindacali e Confindustria.

Angelo Andrea Vegliante
Da diversi anni realizza articoli, inchieste e videostorie nel campo della disabilità, con uno sguardo diretto sul concetto che prima viene la persona e poi la sua disabilità. Grazie alla sua esperienza nel mondo associazionistico italiano e internazionale, Angelo Andrea Vegliante ha potuto allargare le proprie competenze, ottenendo capacità eclettiche che gli permettono di spaziare tra giornalismo, videogiornalismo e speakeraggio radiofonico. La sua impronta stilistica è da sempre al servizio dei temi sociali: si fa portavoce delle fasce più deboli della società, spinto dall'irrefrenabile curiosità. L’immancabile sete di verità lo contraddistingue per la dedizione al fact checking in campo giornalistico e come capo redattore del nostro magazine online.

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