Sport, l’importanza dei bambini (e l’analisi del modello Germania)

Rieccomi Ability! Tra una gara e l’altra ho trovato ancora il tempo per voi, giustamente durante una lunga attesa in aeroporto. Questa volta vorrei usare questo mio spazio per raccontarvi un modello vincente che funziona in Germania, nazione leader per quanto riguarda la produzione di protesi.

Il 2 giugno ho festeggiato la mia Festa della Repubblica all’estero, in realtà, per l’esattezza a Leverkusen, Germania: l’occasione della mia visita tedesca era un meeting internazionale in cui ero iscritta nella gara di salto in lungo. Alla spedizione hanno partecipato altri atleti italiani, Emanuele di Marino, Ambra Sabatini e Davide Bartolo Morana, con il quale condivido allenamenti e allenatore, Gianni, anche lui presente.

C’era pure la mia compagna di avventure, nonché avversaria in campo, la giapponese Kaede Maegawa, all’epilogo del suo soggiorno europeo durato circa due settimane (l’incontro tra la cultura bergamasca e quella giapponese merita un capitolo a parte, quindi non perdetevi il prossimo articolo).

Ebbene, il giorno della gara, che si sarebbe svolta nel pomeriggio, è venuto a farmi visita a pranzo un ex atleta paralimpico, un campione che si è ritirato nel 2017, ma che ha continuato alla grande la sua carriera di tecnico ortopedico. Heinrich Popow, il suo nome, il prosumer per eccellenza, colui che ha potuto fin ancora da quando era un atleta in attività, prodursi e testare le protesi da gara.

Ah, dimenticavo, anche lui ha un’amputazione alla gamba sinistra, come me disarticolato di ginocchio ed è stato sia uno sprinter che un saltatore. Era uno dei miei modelli quando ancora nessuna donna della nostra categoria partiva dai blocchi: io cercavo i suoi video su internet e poi provavo al campo a fare ciò che faceva lui. Non so se gliel’ho mai detto. Ora la mia partenza è un risultato di vari anni di prove e studi, di vari tentativi miei e degli allenatori che mi hanno seguita fin ora.

Comunque, tra i vari argomenti di cui abbiamo riempito la tavola, coi commensali interessati alle nostre discussioni tecniche, be’ gli ho chiesto come avesse fatto ad organizzare i “talent day”, giornate dedicate allo sport per bambini con disabilità, molti dei quali con amputazioni, e ad avere un’affluenza così numerosa. La mia perplessità riguardava chiaramente la disponibilità economica delle famiglie dei bambini, che di solito non possono permettersi le protesi sportive, per lo meno in Italia.

Così mi ha sganciato la bomba: mi ha raccontato che lo Stato tedesco passa le protesi sportive a tutti i bambini e le bambine in età scolare. Finché frequenti la scuola hai diritto agli ausili sportivi gratuiti. Poi una volta che potrai lavorare per pagartele allora ci penserai tu, ma fino ad allora anche tu che non hai la gambina dalla nascita puoi imparare a correre come tutti gli altri.

Per ottenere questo grande risultato Heinrich ha fatto una mossa giusta al momento giusto, cioè in diretta in mondo visione, con la medaglia d’oro al collo, fresca delle Paralimpiadi di Rio: ha negato la stretta di mano al Presidente tedesco dicendogli che non era stato grazie al Governo se lui da bambino aveva potuto iniziare a fare sport. Touché! Ha chiesto di poter dare ai bambini tedeschi con disabilità, il diritto allo sport! E dici poco! Dopo circa due anni è arrivata la legge. Detto fatto. Incredibile no? Altro che Kartoffel e Wustel!

Quindi agli eventi organizzati da lui e dalla ditta che produce protesi, gli iscritti sono sempre numerosi: arrivano e gli viene fornita assistenza tecnica durante le attività sportive e le garette, i piccoli si scatenano, i grandi piangono di gioia e tutti tornano a casa felici e contenti, con un sogno nel cassetto che cresce di volta in volta.

E noi in Italia come siamo messi? Be’ per gli atleti d’élite direi molto bene: l’assistenza da parte dell’Inail (grazie al protocollo d’intesa con il Comitato Italiano Paralimpico) è assicurata agli atleti di interesse nazionale, che abbiano però già conseguito dei risultati interessanti. Non si sa come inizino però.

Per l’attività sportiva dilettantistica sono stati stanziati 5 milioni di euro, una tantum, grazie al decreto voluto fortemente dalla nostra Giusy Versace, ex atleta paralimpica ed oggi parlamentare che lotta per i diritti delle persone con disabilità.

Ma, per tutti gli altri? Per esempio per i bambini? Chi ci pensa a loro? A colmare un vuoto così grande ci pensano le associazioni, una tra tutti quella di Bebe Vio & Family, la famosa Art4Sport, che con i suoi fondi sempre in crescita permette a molti bambini e ragazzi con disabilità di iniziare a fare sport.

Le federazioni paralimpiche a livello territoriale stanno cercando di coinvolgere i più giovani, tramite campus e scuole paralimpiche, ma rimane il fatto che non possono coprire i costi degli ausili e spesso quella che è un’occasione d’oro di incontro e crescita sfuma per cause economiche.

Tornando a quel pranzo a Leverkusen, salutato Heinrich, sono entrata nel mood gara e non ce n’è stato più per nessuna. Ho sparato una sequenza di salti che mi ha dato finalmente soddisfazione dopo tanto lavoro in pedana. 5,27m, 5,01m, 5,26m, 5,22m, 5,35m, nullo finale.

Foto: @the_photOHgrapher

Gianni ha lanciato un “Alleluja” dagli spalti e così ho sancito la miglior prestazione mondiale dell’anno, nonché Season Best, per ora. Ho ricevuto persino i complimenti dalla mia avversaria storica, Vanessa Low, di rientro dalla maternità, addolcita. La rivedrò ai mondiali di Parigi, a luglio.

Non ho ricevuto medaglie questa volta, ma la birra e pizza a bordo campo a fine gara, insieme al brindisi fatto con le persone care lì presenti è stato per me il premio migliore.

Ed i bambini? Il giorno seguente hanno continuato a gareggiare sulla stessa pista di noi atleti professionisti, sperando un giorno di diventare come noi, girare il mondo, parlare le lingue e sentirsi ancora più fieri di quello che sono diventati.

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Martina Caironi
La vita a 18 anni le ha fatto cambiare idea e prospettive in seguito all'amputazione della gamba sinistra. E’ diventata un’atleta paralimpica che ha scritto alcune delle più belle pagine dell’atletica leggera salendo, per l’Italia, sul gradino più alto del podio. E’ componente del consiglio internazionale degli atleti dell’IPC, ha girato il mondo, imparato lingue ma soprattutto è messaggera di positività ed inclusione. Per lei non si deve parlare di disabilità ma di abilità, di quello che le persone possono, devono fare, avendo ben presente gli obiettivi da raggiungere.

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