Persona con disabilità, non vergognarti di essere te stessa anche d’estate

Tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare”, cantava Gabriella Ferri e insieme a lei io, i miei genitori ed i miei fratelli, quando in macchina, felici, ci univamo all’esodo di vacanzieri che partivano per le ferie e puntualmente rimanevano imbottigliati in autostrada.

Ricordo la prima estate post incidente (nel 2007 un pirata della strada investì me e mio fratello e al mio risveglio non avevo più la mia gamba sinistra), in cui avevo a malapena la protesi da cammino. Andammo al solito camping, il “Limone Beach”, a Villasimius, in Sardegna. Le mie chiappe erano più chiare del solito e questa volta anche con cicatrici della pelle asportata per chiudere delle ferite alla gambina amputata. Avevo un costume più spesso del solito per poter coprire le zone più delicate.

In spiaggia, tendenzialmente, ci si spoglia, perché fa caldo ed inoltre è bello sentire la sabbia e l’acqua sulla pelle. Non banale come osservazione per chi per la prima volta deve mostrare in pubblico il suo nuovo corpo “diverso”. Non mi piaceva la mia protesi, perché aveva una calza da nonna ed era grossa, in particolare in prossimità del ginocchio, quindi facevo di tutto per coprirla: mettevo pantaloni lunghi e larghi, sebbene leggeri.

Camminare sulla sabbia inoltre non è per niente facile perché la caviglia della protesi è fissa e quindi ad ogni passo, anche oggi, sembro uno strumento agricolo che imbarca sabbia e la rilancia tutt’intorno. Passare inosservati è già difficile fin qui. Poi, con lo stupore dei presenti, specialmente dei bambini, decisi che dovevo seguire il mio istinto di granchietto e tuffarmi in mare. Quella protesi non poteva entrare in acqua e quindi mi vidi costretta a toglierla e a saltellare fino a riva, come una cavalletta.

Che goduria! Finalmente potevo muovermi liberamente, senza quell’ingombro pesante e indiscreto. Da dentro l’acqua ricordo di essermi sentita anche sollevata dagli sguardi, perché chi non mi aveva vista prima, non si accorgeva che fossi senza una gamba. La mia gambina amputata era vulnerabile e sempre incremata, ma in acqua si muoveva come una bimba felice.

Quando dovevo uscire era tutto molto più faticoso, soprattutto sentire i commenti e gli sguardi addosso. Cercavo di concentrarmi su me stessa, sulle cose belle, sulla brezza e il rumore delle onde. Oggi me ne frego altamente e anzi, ci rido sopra, oppure invito i bambini a conoscere la mia gambetta o la mia protesi, con molta naturalezza. A volte i più curiosi sono gli adulti, ahimè!

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martina caironi ieri oggi

Qualche settimana fa, sempre in Sardegna, stavo sonnecchiando in spiaggia, con la mia protesi buttata lì di lato, perché si asciugasse (dal 2014 indosso un ginocchio che resiste all’acqua, persino a quella marina, anche se per nuotare preferisco ancora stare senza) e si è avvicinato un bambino, incuriosito. Ha iniziato a toccarla e a ridacchiare, così pian piano gli ho spiegato tutto quanto, mentre mi faceva considerazioni divertite come “ma non hai il piede!”.

Una volta raccolte abbastanza informazioni è andato, tutto fiero, a chiamare gli amichetti per mostrare loro la nuova scoperta! Si è formato dunque un circoletto attorno a me che ormai avevo abbandonato la mia “siesta” per una nobile causa, cioè quella di soddisfare la sana curiosità di chi vede per la prima volta qualcosa di così speciale.

Forse non tutte le persone con disabilità sono così disinibite come me e anzi, sicuramente i primi anni nemmeno io ero così rilassata nel raccontare la mia disabilità e quello che le ruota attorno. Quello che ho imparato è che ogni tipo di “diversità” attrarrà sempre un tipo di attenzione in più da parte della gente, quindi dobbiamo imparare a gestirla. Ci sono giorni in cui non ho voglia di raccontare di come funziona la mia protesi e mi secca persino raccontare della mia carriera agonistica, perché magari ho voglia di parlare di altro. Allora cercherò di tagliare corto, di fare battute e di sviare il discorso su altri temi.

Noi non siamo solo la nostra disabilità, il nostro lavoro, la nostra carriera, siamo molto di più! Non vergognatevi di essere voi stessi anche d’estate, anche se avete un costume buffo oppure se non viete fatte la ceretta, o se per raggiungere l’acqua camminate a zig zag o avete bisogno della sedia da mare. A proposito, quanti di voi la conoscono? Si tratta di una carrozzina-sdraio che ha delle ruote molto spesse, adatte ad essere spinte in spiaggia e fino dentro l’acqua. Viene usata per permettere anche a chi non è autosufficiente di potersi fare un bagno in mare. Dovrebbero averla in ogni stabilimento, come gli ombrelloni ed i lettini.

Il turismo si alimenta per il meccanismo domanda-offerta, quindi è tutto collegato. Più una persona si sente libera di mostrarsi e di dire “io esisto”, più il mercato dovrà adattarsi a quelle che sono le esigenze di molte persone con disabilità. Più le strutture diventano inclusive per chi ha una disabilità o un infortunio, o un passeggino, o chi è più anziano ecc., più sarà facile fruirne. Chi non lo fa, per un motivo o per un altro, ci perde.

Un esempio virtuoso di turismo accessibile è quello in Trentino, regione molto attenta al tema dell’integrazione. Viene fatta la formazione, perché vengono proposte anche attività in montagna, escursioni per tutti. Il prossimo fine settimana prenderò parte ad una di queste iniziative, quando salirò le Bocchette Centrali e la ferrata Spellini sulle Dolomiti, insieme a delle guide alpine e all’associazione Sportfund. Esistono anche cose meno estreme eh, ma ricordatevi che anche le vacanze devono essere un diritto, per ricaricare mente e corpo. Tutti possono avere un’opportunità. Scegliete la vostra!

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Martina Caironi
La vita a 18 anni le ha fatto cambiare idea e prospettive in seguito all'amputazione della gamba sinistra. E’ diventata un’atleta paralimpica che ha scritto alcune delle più belle pagine dell’atletica leggera salendo, per l’Italia, sul gradino più alto del podio. E’ componente del consiglio internazionale degli atleti dell’IPC, ha girato il mondo, imparato lingue ma soprattutto è messaggera di positività ed inclusione. Per lei non si deve parlare di disabilità ma di abilità, di quello che le persone possono, devono fare, avendo ben presente gli obiettivi da raggiungere.

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