Silvia Biasi, dal sitting volley al libro: “No al pietismo sugli atleti paralimpici”

Redazione:

Il 2021 di Silvia Biasi è tutto da incorniciare, anche se dalle Paralimpiadi di Tokyo 2020 si aspettava qualcosa di più. La 33enne trevigiana è una delle protagoniste del sitting volley italiano, che con l’evento giapponese ha conquistato la prima storica paralimpiade per la Nazionale.

Amputata alla mano destra dall’età di 5 anni a causa di un incidente, dal 2017 Biasi è impiegata nel ruolo di libero nella formazione Azzurra: “È davvero possibile giocare senza una mano – ci racconta -. Basta non pensare che sei senza una mano, gioca e basta, il tuo corpo troverà da se gli adattamenti necessari per farlo al meglio!”.

Silvia Biasi e le Paralimpiadi di Tokyo 2020: “Mi riempie di orgoglio”

Il nome di Silvia Biasi è stato scritto nel grande libro del movimento paralimpico italiano, così come quello di tutte le sue compagne di squadra. Sono loro infatti ad aver portato per la prima volta nella storia l’Italia del sitting volley a una Paralimpiade, ottenendo anche un buon sesto posto.

“Devo dire che essere le prime della disciplina a portare a casa questo traguardo mi riempie di orgoglio sia per me che per le mie compagne di squadra – ci confessa nella nostra intervista -. Siamo arrivate lì cariche di aspettative e molto motivate. Certo, il sesto posto è un ottimo risultato per il movimento, ma non nascondo che speravo in qualche posto in più“.

Un’incredibile esperienza che resterà sicuramente incastonata nei ricordi dell’atleta paralimpica: “È stato davvero bello far parte della Paralimpiade, mi sono sentita parte di qualcosa di grande. È stato solo un peccato avere tante restrizioni a causa del Covid, ma l’emozione è stata grandissima lo stesso”.

Emozioni che sono state accompagnate anche da un contesto particolarmente nuovo per Biasi: “Mi sono trovata di fronte a persone con tante disabilità diverse e non ero abituata. Mi ha sorpreso molto vedere chi è più in difficoltà riuscire a cavarsela alla grande in tante piccole cose del quotidiano, come ad esempio chi in mensa mangiava tenendo le forchette coi piedi oppure vedere la gente in carrozzina trainare giocosamente i compagni e così via. Dà proprio l’idea della normalità di queste cose”.

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sitting volley silvia biasi
Le celebrazioni per il secondo posto ottenuto agli Europei di sitting volley del 2019, che valse il pass per le Paralimpiadi di Tokyo 2020. Con il numero 18 in prima fila Silvia Biasi.

Silvia Biasi: “I media? Basta col cercare pietismo e solidarietà”

Quando si parla di Paralimpiadi, inevitabilmente il focus si sposta sul ruolo dell’informazione, ancora una volta predominante nel portare in auge lo sport per disabili. “Credo che dal punto di vista mediatico non sia andato proprio tutto alla grande – ci spiega Biasi, in relazione a Tokyo 2020 -. Fortunatamente la Rai è riuscita a trasmettere le nostre partite, ma per le prime due abbiamo dovuto chiedere che venissero a riprenderci“.

Tutto ciò non riguarda solo il sitting volley, ma “anche gli altri sport avrebbero meritato un po’ di visibilità in più. Ma come dico sempre, siamo noi telespettatori a motivare le televisioni a trasmettere una cosa piuttosto che un’altra, quindi siamo anche noi in primis a dover cercare di prestare più attenzione a queste discipline”.

E allargando il punto di vista sul contesto generale degli sport per disabili, la situazione non migliora: “Sicuramente un aspetto che aiuterebbe il movimento è anche quello di parlarne con obiettività senza cercare di catturare l’attenzione del lettore con frasi di pietismo o solidarietà nei confronti della situazione fisica di un atleta. Spesso noto che i media tendono in questo senso, creare un’empatia un po’ triste piuttosto che di forza della persona. Questa è sicuramente una prospettiva da migliorare”.

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silvia biasi sitting volley

“Volevo solo giocare a pallavolo”, l’autobiografia di Silvia Biasi

Questa lotta al pietismo è ampiamente descritta nella sua autobiografia, “Volevo solo giocare a pallavolo“, in libro in cui l’atleta “vuole descrivere una dimensione di normalità dietro a ciascuna storia. Ho sempre detto che volevo raccontare di come sia normale una vita anche con una disabilità, ed è quello che ho provato a fare. Ho raccontato la mia esperienza con estrema semplicità ed ironia, che è stata davvero l’esperienza di una ragazza normale che si è adattata a fare le sue cose con una mano. E se la gente arriva a capire che la disabilità è solo un adattamento, forse riusciremo anche a combattere lo stereotipo di supereroi che ci segue un po’ ovunque”.

E appunto, combattere il concetto del supereroe (che può sfociare in abilismo) è al centro del progetto: “È proprio per questo che è nato il libro: ho aperto un concorso per decorare la mia protesi sportiva e la gente accompagnava spesso la propria proposta ad una descrizione di pietismo o in cui si esalta appunto che siamo degli eroi. Io ho voluto raccontare il mio punto di vista che è totalmente distante da questi concetti. Spero di essere riuscita nel mio intento”.

silvia biasi libro

Silvia Biasi ai giovani: “Il sitting volley va capito prima di essere amato”

Il movimento paralimpico italiano è in forte ascesa, e alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 ne abbiamo avuto la dimostrazione. Tuttavia, per fare il salto di qualità, manca ancora una componente: “Bisognerebbe cercare di portare le discipline nelle scuole e nelle associazioni, creare delle reti di informazione a riguardo e portare fisicamente le persone ed i ragazzi a provarle”.

Infine Biasi lancia un messaggio proprio ai giovani: “A chi vuole intraprendere questa disciplina, dico di non basarsi su uno o due incontri per decidere se gli piace o meno, il sitting va provato e capito prima di essere amato. Questo perché stravolge tutte le nostre idee di movimento. Prima bisogna capire come muoversi, poi lo si apprezza e ci vuole un po’ di pazienza”.

Immagini concesse da Silvia Biasi

sitting volley silvia biasi
Angelo Andrea Vegliante
Da diversi anni realizza articoli, inchieste e videostorie nel campo della disabilità, con uno sguardo diretto sul concetto che prima viene la persona e poi la sua disabilità. Grazie alla sua esperienza nel mondo associazionistico italiano e internazionale, Angelo Andrea Vegliante ha potuto allargare le proprie competenze, ottenendo capacità eclettiche che gli permettono di spaziare tra giornalismo, videogiornalismo e speakeraggio radiofonico. La sua impronta stilistica è da sempre al servizio dei temi sociali: si fa portavoce delle fasce più deboli della società, spinto dall'irrefrenabile curiosità. L’immancabile sete di verità lo contraddistingue per la dedizione al fact checking in campo giornalistico e come capo redattore del nostro magazine online.

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