Guerrieri Invisibili: “La nostra ironia per raccontare le disabilità invisibili”

Redazione:

Guerrieri invisibili” non è solo il nome di un’associazione, ma anche la raffigurazione di una situazione sociale che riguarda svariate persone, numeri però a oggi non facilmente quantificabili. A mancare infatti è un approccio e una metodologia nazionale atta a riconoscere che, concettualmente parlando, la disabilità non è rappresentata solo da una carrozzina.

Nel corso degli anni le società mondiali hanno tentato di scardinare questo dogma, cambiando addirittura la raffigurazione stessa della disabilità con l’uomo vitruviano, che però in Italia è poco diffusa, e dunque oggi tale sensibilizzazione non ha un peso così rilevante all’interno della comunità.

Parlare di disabilità invisibile: la storia dell’associazione “Guerrieri Invisibili”

Insomma, il percorso per parlare e raccontare la disabilità invisibile è tortuoso. Sebbene dall’esterno non sembrano esserci segni della sua esistenza, una patologia o una condizione invisibile produce degli effetti nel corpo e nella mente di una persona, e vanno considerate a dovere – come recentemente sta accadendo per la vulvodinia e l’endometriosi.

Ed è anche con questo obiettivo che nasce “Guerrieri Invisibili” di Micol Rossi, classe 1991, veneziana, donna con il morbo di Crohn, una patologia invisibile che in passato ha raccontato più volte attraverso i suoi canali social, che nel tempo si sono evoluti in un progetto più ampio, appunto “Guerrieri Invisibili”, grazie soprattutto a video autoironici sul tema.

Un progetto che ha trovato un enorme fioritura principalmente su Instagram e Tik tok, dove “Guerrieri Invisibili” ha raccolto rispettivamente più di 5mila follower e oltre 20mila seguaci. Abbiamo contattato telefonicamente Rossi per conoscere più a fondo la sua storia.

Prima di essere un’associazione, “Guerrieri Invisibili” era un’idea social. Com’è nato questo fenomeno e quand’è nata l’idea di renderla associazione?

“Nasce tutto nel settembre 2021. Sono anni che sensibilizzo il morbo di Crohn sui social e all’epoca mi chiamavo ‘Diario di una crohniana’, e quindi mi seguivano tante persone con la mia stessa patologia. Poi più persone in privato mi hanno rivelato di essere stanche del fatto che non venissero tutelate, e quindi mi sono detta di fare qualcosa, è inutile che che ci lamentiamo tra di noi. Così ho creato il gruppo Telegram ‘Facciamoci sentire’: non pensavo si aggiungessero così tante persone, ci siamo conosciuti con delle video-riunioni e abbiamo realizzato anche il video appello #Ascoltateci. Poi l’associazione è venuta spontaneamente, perché molti chiedevano una riconoscibilità. In passato avevo fatto tentativi per incontrare alcuni politici, però nel momento in cui mi chiedevano se avessi un’associazione, non l’avevo. Mi sono sentita in dovere di fondare questa realtà, anche perché le persone sono aumentate sempre di più, non mi aspettavo una cosa del genere, anche sui social: le persone si rivedono in noi, ci scrivono che si sentono meno sole perché c’è qualcuno che sta rendendo più visibile queste patologie. E noi lo facciamo in modo abbastanza ironico.”

Il linguaggio autoironico per raccontare la disabilità, un concetto non così semplice in quanto siamo abituati in Italia al pietismo e al supereroismo forzato. In che modo l’ironia può diventare un veicolo per raccontare i temi che prima hai elencato?

“Secondo me può avvicinare anche le persone sane, perché di solito, quando si racconta una disabilità, magari anche con molta sofferenza, purtroppo ci sono persone che si spaventano. Se invece utilizziamo un messaggio ironico, intanto aiutiamo le persone che stanno male, perché ti assicuro che vedere dei messaggi positivi e ironici, anche con un sorriso, aiuta tanto. Mi rifaccio soprattutto al pensiero di Patch Adams, che andava negli ospedali a regalare un sorriso ai bambini: magari non ti guarisce, ma ti risolleva l’animo e fa sentire meno sole quelle persone. Per chi è sano invece ha una chiave di lettura diversa, le avvicina di più verso un contenuto che a volte anche noi impostiamo in maniera più triste. Vogliamo dare una ventata di ossigeno, se ci rapportiamo a persone che già sono tristi e depresse, è come se le portassimo ancora più giù, invece le dobbiamo portare su di morale, senza rendere il tema superficiale.”

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Ciò che trattate è un tema che stiamo scoperchiando adesso, cioè la disabilità invisibile. State diventando delle pioniere di un argomento che andrebbe approfondito in maniera più puntuale e precisa. Cosa bisogna fare per sensibilizzare ancora di più la politica e l’opinione politica?

“Sicuramente abbiamo bisogno di qualcuno che possa aiutarci ad arrivare a queste persone. Secondo me la base è la scuola, condividere questi messaggi ai più piccoli e alle famiglie, perché parte tutto da là. In base a come cresce e a cosa gli insegni, un bambino crea il proprio bagaglio per il futuro. Diventa molto importante insegnare a un ragazzino che ogni persona è diversa, che per questo non bisogna lasciarla in disparte, che ci sono persone che hanno delle sofferenze che dall’esterno non si vedono. Ma poi la classe politica deve ascoltarci e non ignorarci, alcuni di loro ignorano tutte le difficoltà che abbiamo ogni giorno. Sarebbe anche interessante fare una specie di documentario, seguire una persona dalla mattina alla sera e mostrare quanta fatica fa semplicemente per alzarsi dal letto, fare una doccia o prepararsi da mangiare.”

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Quale potrebbe essere una definizione di disabilità invisibile e in che termini bisognerebbe raccontarla?

“Parlo nel mio caso, non posso parlare per tutti: sono patologie multifattoriali che non si vedono dall’esterno, apparentemente sembriamo persone sane, mentre dentro c’è tutto un malessere generale che prende tutto il corpo e la psiche. Se il corpo sta male, si ammala anche la mente, e a livello psicologico non è facile affrontare questo dolore. Avere dolore ogni giorno ti stanca, è avvilente. Per esempio ora sono guarita dal Covid, ma adesso il Long Covid non mi fa dormire la notte: il fatto di essere insonni non aiuta ad essere attivi per fare tutto ciò che c’è da fare durante la giornata. Per noi malati cronici, questo è devastante, perché siamo già deboli di nostro. È difficile, non saprei come risponderti, ma ciò che mi sento di dire è che sono tutte patologie che non si vedono, ma sono altrettanto invalidanti rispetto ad altre invalidità che si vedono esternamente. Ci sono miliardi di sfaccettature, è come l’arcobaleno, ci sono diversi colori, non c’è n’è solo uno, non esiste solo il nero e il bianco, e vanno rispettati tutti.”

Angelo Andrea Vegliante
Da diversi anni realizza articoli, inchieste e videostorie nel campo della disabilità, con uno sguardo diretto sul concetto che prima viene la persona e poi la sua disabilità. Grazie alla sua esperienza nel mondo associazionistico italiano e internazionale, Angelo Andrea Vegliante ha potuto allargare le proprie competenze, ottenendo capacità eclettiche che gli permettono di spaziare tra giornalismo, videogiornalismo e speakeraggio radiofonico. La sua impronta stilistica è da sempre al servizio dei temi sociali: si fa portavoce delle fasce più deboli della società, spinto dall'irrefrenabile curiosità. L’immancabile sete di verità lo contraddistingue per la dedizione al fact checking in campo giornalistico e come capo redattore del nostro magazine online.

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