La politica, lo sport, la disabilità, la comunicazione, la società e tanto altro ancora. Intervista a Davide Meneghini
Concludere una chiacchiera con Davide Meneghini vuol dire processare un lotto di informazioni permeate da passione, tempra e volontà. Una persona a volte idealista, nell’accezione positiva del termine, a volte risolutiva, desiderosa di seguire la strada intrapresa.
Se invece volessimo sintetizzare Davide Meneghini in una sola parola, quella sarebbe “comunicatore“. Perché, giustamente, il 37enne vede le potenzialità della comunicazione in ogni ambito di vita, e la ritiene fondamentale per il cambiamento sociale, culturale e politico di una società.
Tutto comincia il 28 marzo 1988, quando Meneghini viene alla luce in un mondo per lui inospitale fin da subito: perché Davide ha l’acondroplasia, nota ai più con il termine di nanismo. La sua decisione sarà quella di allungarsi gli arti, e potersi così muovere liberamente in una società che fin dalla nascita non gli ha agevolato la vita come persona.
Oggi Meneghini lavora nel marketing e nella comunicazione ed è uno dei consiglieri nel Comune di Padova. Precedentemente ha lavorato come PR, vocalist e conduttore radiofonico. Ma come mai tutta questa passione per la comunicazione e da cosa nasce l’esigenza di esporsi così tanto? Lo abbiamo chiesto al diretto interessato, partendo da una curiosità.
Nelle tue interviste parli molto dei tuoi interventi per allungare gli arti. Come mai hai preso questa decisione?
“È stata puramente funzionale. Ho raggiunto l’altezza massima a 14 anni, che era un un metro e 27 centimetri. All’età di 7/8 anni ho fatto un intervento di raddrizzamento delle gambe, perché avevo le gambe storte, e all’epoca già mi paventavano che c’era la possibilità di allungarle e di raggiungere un’altezza che era superiore al metro e cinquanta.
Io dico sempre una frase: il mondo è per persone da un metro e cinquanta in su, se pensiamo alle dimensioni di tutte le cose, come gli appendiabiti, all’aeroporto, le sedie… Se sei sotto il metro e cinquanta, hai grosse difficoltà, come a guidare la macchina.
Mi ricordo che alle elementari, per appoggiare la giacca sull’appendiabiti, dovevo sempre chiedere a un compagno oppure avere un rialzo. Purtroppo so che un’altezza superiore al metro e cinquanta ti permette anche di ‘essere accettato meglio’, essere ‘meno diverso’, nel senso che la percezione del tuo corpo colpisce meno. Ma non è stata questa la motivazione per me. Da un’altezza nuova qualche occhiataccia la ricevi meno rispetto a una persona che non ha fatto interventi“.
Se la società fosse a misura delle persone di un metro e cinquanta in giù, ti saresti fatto tutti questi interventi?
“Penso di no, perché se fosse stata una società accogliente ed elastica, sarebbe stato più congeniale e facile. È un discorso positivamente macro: probabilmente se la società avesse un’attenzione a livello di strutture e barriere, sarebbe corretto che lo fosse anche a livello culturale. Ci vogliono entrambe le aperture, sia dal punto di vista della società e delle barriere architettoniche, e anche vestiti, sia dal punto di vista dell’apertura mentale. Dopo aver viaggiato un po’, ho scoperto paesi avanti all’Italia: ho visto persone con nanismo molto più inserite e accettate all’interno della società“.
Molto spesso online si sottolinea la tua disabilità, però secondo me non viene approfondito chi sei. Sei laureato in Scienze della Comunicazione, e fai anche comunicazione politica. Nel mondo della disabilità si parla molto di fare attenzione ai termini da utilizzare. Tu che ne pensi e come bisognerebbe parlare di disabilità?
“Bisognerebbe cominciare a togliere le etichette, creano dei distacchi e delle differenze soprattutto nelle menti più giovani. Dire persona affetta da nanismo, invece che nano, è una cosa completamente diversa, proprio per quello che rimane nella mente dell’individuo. Nanismo è stato spesso usato come dispregiativo.“
Adesso lavori in ambito politico. Cosa ti ha spinto a candidarti in politica?
“Sono sempre stata una persona con una missione. In passato quando percepivo qualche discriminazione e qualche esclusione, mi sono sempre detto che andava fatta conoscere la mia ‘diversità’. Se io faccio conoscere la mia diversità come normalità, altri sicuramente ne gioveranno.
Nel periodo delle superiori mi sono messo a fare il PR e il vocalist in discoteca. Quando uno entrava in discoteca, la persona mi vedeva che avevo un microfono e la mente si abituava a vedere una persona con diversità in pubblico che faceva una mansione, che era quella di caricare le persone.
La mia missione è stata sempre apparire il più possibile, però sempre con contenuti seri, mantenendo molto lo spettro della serietà. Perché in passato è stata quella la discriminante delle persone affette con nanismo: sono spesso state utilizzate per ruoli marginali e autoironici nella cinematografia, ma ancora oggi nei programmi vengono un po’ ridicolizzate.
Si può far tanto con la politica, si entra nel circuito dei media, trasmettere comunicazione positiva e lanciare messaggi che riguardano il mio vissuto, ma soprattutto il mio punto di vista, che non è quello di una persona comune, ma di una persona che ha sensibilità e attenzioni che magari non sempre si trovano.“
In Ability Channel abbiamo approfondito i temi politici riguardanti la disabilità, anche con molte interviste. Abbiamo osservato che la disabilità sembra essere un argomento assistenziale, inteso come persone a cui dare assistenza. Sono veramente poche le proposte fatte per la persona. Tu che ne pensi?
“Rispetto ad altri paesi, come Stati Uniti d’America e Inghilterra, al di là dei colori attuali, ci sono strutture: ad esempio al Comune di New York c’è una figura con disabilità addetta alle politiche per le disabilità. Sullo statale non entro, non saprei dire al 100%, però nei comuni ci sono delle persone addette che hanno responsabilità e ruoli specifici che appunto affrontano le politiche delle disabilità, come le barriere architettoniche, la sensibilizzazione e tanto altro.
In Italia che c’è questa cosa assistenzialistica, l’idea di dare una mano dall’esterno, di non sporcarsi le mani ad aiutare le persone con disabilità. Parlo generalmente, perché magari ci sono politici che si sporcano le mani nel loro privato con associazioni o cooperative sociali.
Però la struttura politica non è ancora pronta e ricettiva sulla disabilità come normalità. Ancora oggi si parla di categorie protette, ma non si parla di come la persona con disabilità venga inserita nel mondo del lavoro. E se viene assunta, la persona viene messa di fronte a un computer, da sola. Oppure vengono inserite in maniera erronea.
Vedo che c’è proprio un problema di conoscenza della diversità che dopo si trasporta nella politica. E a volte si preferisce dire di aver destinato i fondi le risorse o aver allargato la cooperativa, ma dopo non si entra nel merito delle questioni. La visione attuale è ancora assistenzialistica, lo confermo.”
A Padova ti occupi di lavoro e sport, giusto?
“Sono capogruppo della mia lista, di cui faccio parte, ma sono anche vicepresidente di due Commissioni, bilancio alle politiche sportive e giovanili. Poi ho fatto parecchie iniziative sulla disabilità.
Ho fatto anche un manuale l’anno scorso, che ho presentato anche in Regione Veneto, ‘Come arricchire la tua azienda: Metodologie e modalità per agevolare l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità’, ma non l’ho fatto come politico, ma come mia velleità personale. È un manuale che racconta e studia le problematiche e le difficoltà e i miglioramenti che, anche se lievi, riguardano i problemi di inserimento delle persone con disabilità.“
Dai molto valore alla politica come strumento di cambiamento?
“Sì. In Italia se vuoi lanciare un messaggio devi farlo con il calcio e la politica, sono strumenti che possono avere maggiore risalto, e forse si riesce a sensibilizzare e a convertire qualcuno nella conoscenza della disabilità in maniera positiva. Bisogna superare l’accezione negativa della disabilità“.
Un altro strumento efficace può essere la radio?
“Certo, anche il cinema. Però se vedo la tv generalista, non ci sono mai persone con disabilità che hanno un programma. Rispetto a paesi anglosassoni, dove ci sono figure con disabilità che gestiscono programmi, qui invece…
Mi ricordo che da bambino mi capitò il cd di Michel Petrucciani, che aveva una grande disabilità, l’osteogenesi imperfetta. All’epoca avevo 6/7 anni, e mi cambiò la percezione delle figure che sono protagoniste nella società attuale. A distanza di 30 anni lo ricordo ancora come fosse ieri. Quello che manca è proprio dare spazio.“
In un nostro podcast Martina Caironi disse che le persone con disabilità hanno nelle Paralimpiadi l’unico palcoscenico e possibilità di avere un microfono. Tu che ne pensi?
“È la verità, al 100%. Siamo stati abituati giustamente ad atleti come Alex Zanardi e Bebe Vio, che hanno fatto un lavoro straordinario, soprattutto Zanardi. Hanno aperto una comunicazione che inizialmente in Italia era estremamente marginale, sul vittimismo, una comunicazione che non era forte e chiara.
Purtroppo però mi rendo conto che le aziende puntano a fare utili, che le realtà anche comunicative preferiscono un corpo che sia nei canoni, perché siamo molto costruiti negli stereotipi. Manca quello secondo me, una possibilità di investimento di poter comunicare la disabilità come ruolo, e poter cogliere punti di vista nuovi.
Adesso si parla delle Paralimpiadi, così si parla di disabilità e si lasciano stare tutte le altre problematiche. Bisognerebbe dare attenzione a tutto quello che c’è dietro la vita di tutti i giorni, soprattutto creando personalità come sono state Petrucciani e altri, che hanno una loro dimensione sociale e hanno anche un seguito, sempre di contenuto e sull’intelligenza della persona e non solo come persona con disabilità.”
Cercando il tuo nome su internet, ci sono tante tue dichiarazioni politiche, tanti tuoi interventi. Come mai hai deciso di esporre la tua vita così tanto, mediaticamente parlando?
“Ci sarà un po’ di ego [ride, ndr]. Sono sempre stata una persona trainante e aggregativa, una figura che cercava di imporsi, ma c’è anche un fattore di voler apparire, dato anche da un’abitudine che ho dentro di me, che fa parte della mia persona. Io sono una persona che vuole esternalizzare, fare divulgazione positiva.”
Sul tuo account Instagram c’è scritto “Faccio pubbliche relazioni senza ballare sui tavoli”. A cosa ti riferisci?
“Che parlo con tutti, sono quella persona che anche all’estero riesce a costruire relazioni, contatti, anche con personalità pubbliche. Parlo con tutti per costruire relazioni e collaborazioni che possono essere comunicare, ma anche rapporti amichevoli.“
Hai mai incontrato persone o hai notato che l’opinione pubblica non ti davano la credibilità di un politico, di un conduttore radiofonico o di una persona?
“Sì. In 37 anni ho costruito un mio sistema di relazioni e credibilità, perciò non mi tocca più di tanto. Però succede ancora, purtroppo le menti più chiuse e frustrate, tendono a sminuire e a non considerarti.
L’unica soluzione che una persona ha per superare questi ostacoli è comunicare il più possibile, e questo mi dà la possibilità di superare quando succedono questi casi di discriminazione. La cosa positiva è che c’è un altro aspetto quando entri in un circuito mediatico, per quanto io sia locale: crei un minino ‘attrattività’. Ho cercato di apparire il più possibile anche per superare queste brutte situazioni, che fanno parte della società attuale.
Anche la stessa laurea: mi è successo che non ci credevano che mi fossi laureato, che non venivo considerato per quello che ho fatto. E anche se glielo fai vedere, loro rimangono della loro idea, che sei un disabile che deve rimanere a casa. Secondo me esiste ancora questo pregiudizio, bisogna un po’ superarlo con l’aiuto delle persone con la mente aperta.“
In una nostra intervista l’attrice e modella Anna Fusco ci disse che cambiare il giudizio delle persone sulla disabilità è responsabilità delle stesse persone con disabilità. Tu cosa ne pensi?
“Sicuramente sì, che poi noi in Italia siamo anche indietro per ragioni storico-culturali. In Inghilterra è normale che la diversità è più considerata all’interno di un’azienda di tutti i giorni. Nei paesi che sono più abituati, la diversità non viene stigmatizzata o notata, è una persona come un’altra. Secondo me la cultura, il cinema, la musica, devono superare questi scogli. Servirebbe creare personalità per superare i pregiudizi e far conoscere la diversità al grande pubblico.“
Tu sei tifoso del Padova?
“Sia della Sampdoria che del Padova. Padova perché è la mia città, Sampdoria per l’emozione, ero stato attratto dalla maglia blucerchiata. Sono un appassionato di calcio, sono una persona a cui piace capire giusto e lo sbagliato: se vedo un partita dell’Inter, non tifo, ma l’apprezzo. Mi piacciono gli aspetti tecnici e culturali che riesce a comunicare.
Spesso ospito degli ex personaggi sportivi per dei piccoli incontri con la cittadinanza e con la stampa locale. Così si può trarre dei punti di vista di alcuni numeri uno: dopo che uno ha fatto tanti anni di Serie A, ti dà spunti incredibili dal punto di vista di motivazione, ma anche un allargamento della visuale.
Questa cosa non fa bene solo a me, ma anche al pubblico: storie di chi c’è l’ha fatta nonostante le difficoltà. E così si riescono a creare delle chiavi di lettura su come raggiungere grandi risultati, partendo da situazioni difficili. Il calcio è uno dei mezzi di comunicazione che devono essere utilizzati il più possibile.“
Ti ho fatto questa domanda perché ormai associo questa città al Wheelchair Rugby, alla squadra di Padova e ai suoi incredibili risultati. Mi ha sempre fatto pensare poi come lo sport possa diventare un veicolo per le cose che dicevi prima.
“La città di Padova è rugby. Il mondo rugby è molto interessante, molto inclusivo, più del calcio, ma ha la stessa forza comunicativa e di valori. Il rugby è un ottimo ambiente da cui cogliere spunti, sull’accettazione degli altri, su cogliere i punti di forza degli altri.“
Oltre la disabilità, c’è un altro tema politico o sociale di cui ti vorresti occupare tantissimo?
“Mi entusiasmano gli aspetti comunicativi dell’aspetto politico, che tante volte si usano termini che poi magari feriscono l’altro.
Poi la valorizzazione dei talenti: siamo abituati città che sfornano talenti, ma ci sono anche città piccoline che offrono talenti nazionali.
E infine marketing territoriale, è un aspetto su cui vorrei tanto lavorare, come fanno gli USA, celebrare i meriti della propria città, cosa che, secondo me, non siamo più abituati a fare. Andrebbe fatto per quello che siamo, per il nostro Paese, e cercare di comunicarlo al meglio.”
Ultima modifica: 12/08/2025