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Chi era Piergiorgio Welby? Storia di un caso di Eutanasia in Italia

Piergiorgio Welby è stato un attivista, giornalista e politico romano che ha strenuamente difeso il diritto all'eutanasia legale

Piergiorgio Welby è uno dei casi di Eutanasia più noti in Italia, e ancora oggi – a 15 anni dalla scomparsa dell’attivista – il suo nome viene pronunciato ogni qualvolta si parla di Fine Vita. La stessa moglie, Mina Welby, scende ancora in piazza per portare avanti la battaglia del compagno scomparso (del quale ad Ability Channel ha raccontato un dolce aneddoto).

Biografia di Piergiorgio Welby

Piergiorgio Welby è nato a Roma il 26 dicembre 1945 e morto nella Capitale il 20 dicembre 2006. Nel corso della sua vita è spesso sceso in campo per il diritto all’Eutanasia, diventando anche co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Oltre al suo incessante attivismo, Welby è stato scrittore, giornalista e politico, e le sue principali battaglie sociali furono rivolte alla difesa del diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico e del diritto all’Eutanasia.

All’età di 16 anni gli fu diagnosticata una forma grave di distrofia muscolare, la distrofia facio-scapolo-omerale, che progressivamente gli impedì di poter compiere azioni semplici e quotidiane, come camminare, parlare e respirare autonomamente. Sarà lui stesso poi a raccontare la sua vita e la sua malattia nel libro “Lasciatemi morire“.

Nel luglio 1997 subì una crisi respiratoria, e per sopravvivere fu costretto a essere collegato a un respiratore automatico (anche se lo stesso Welby non avrebbe voluto). Successivamente, fu sottoposto a una tracheotomia. Tutti questi eventi convinsero il romano a chiedere lo stacco della spina, ma la sua richiesta non venne accolta, poiché in Italia non esisteva una regolamentazione legislativa che tutelasse l’Eutanasia legale.

Nonostante ciò, Piergiorgio continuò a combattere socialmente e politicamente: oltre ad aprire forum e blog sull’argomento, divenne co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni e, il 12 aprile 2005, fu accompagnato da esponenti del Partito Radicale a votare il referendum sulla fecondazione assistita: un’immagine che spinse la politica a realizzare una norma per permettere di votare anche a chi fosse impossibilitato a recarsi alle urne.

Leggi anche: Esiste una proposta di legge per l’eutanasia in Italia?

Mina e Piergiorgio Welby (Fonte foto: articolo Today “Dj Fabo, parla la vedova di Welby: “Sul fine vita cittadini più avanti di chi li governa”)

La morte e la sentenza di Piergiorgio Welby

Welby ottenne la morte il 20 dicembre 2006, a 61 anni, dopo che un medico anestesista gli somministrò dei sedativi e lo staccò dal respiratore artificiale. Un episodio che in Italia fu giudicato controverso, poiché non avvenne su disposizione legislativa. Ripercorrendo i fatti, sappiamo che la richiesta ufficiale da parte dell’attivista romano di non essere sottoposto più ad alcun trattamento terapeutico arrivò nel 2006. Di fatto Piergiorgio chiedeva che venisse staccato dal respiratore sotto sedativi, ma il medico che lo ebbe in cura non diede seguito alla scelta del paziente.

Così Welby si rivolse direttamente all’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per chiedere che venisse difeso il suo diritto all’Eutanasia. Anche qui però non vennero registrati dei progressi, così dovette andare alla magistratura attraverso un ricorso d’urgenza: la difesa dei suoi legali si basò principalmente sull’articolo 32 della Costituzione italiana (rifiuto delle cure) e sull’articolo 13 della Carta Costituzionale (diritto di autodeterminazione).

Il 16 dicembre 2006 il giudice dichiarò l’inammissibilità della proposta di Welby, seppure riconobbe l’esistenza di un diritto soggettivo sulla base dell’articolo 32 della Costituzione, su cui però mancava una tutela giuridica: tradotto, in Italia non esisteva un impianto normativo adeguato che regolamentasse il Fine Vita.

Le cose cambiarono con il dottor Mario Riccio, un medico anestesista, che si fece carico del desiderio di Welby. Il 18 dicembre 2006 il medico si recò presso l’abitazione del paziente per assicurarsi del progressivo peggioramento della malattia e per ottenere conferma della scelta da parte di Piergiorgio.

Una volta ottenuta conferma, il 20 dicembre 2006 il dott. Riccio procedette alla sedazione del paziente e al distacco dal respiratore. Il referto recita che la morte è sopraggiunta dopo mezz’ora per arrestato cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria, causata dall’impossibilità del paziente di respirare meccanicamente in maniera spontanea, dovuto alla distrofia da cui era colpito.

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Mina Welby

Cosa successe all’anestesista Mario Riccio?

Dopo la morte di Welby, per molti era chiaro che il dott. Riccio sarebbe stato condannato. Eppure così non andò. Il 1° febbraio 2007 la Commissione disciplinare dell’Ordine dei Medici di Cremona archiviò il caso. In sede penale, la Procura della Repubblica di Roma emanò un esito simile, con richiesta di archiviazione. Le decisioni si basavano sull’assenza di un nesso tra sedazione e decesso del paziente.

Infine, nel luglio 2007, il medico fu prosciolto in quanto il fatto non costituiva reato. Il giudice riconobbe che il comportamento rientrava nella norma dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), ma sottolineò che la condotta del medico era stata portata avanti in un contesto di relazione terapeutica, difesa dalla Costituzione. Insomma, il medico aveva adempiuto a un dovere che non poteva essere punito (articolo 51 del codice penale).

La lettera di Piergiorgio Welby

Attraverso un video, nel 2006 Piergiorgio Welby inviò una lettera all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere di poter morire senza soffrire. Nel finale della missiva si può leggere: “Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l’eutanasia”.

Ultima modifica: 04/01/2022

Angelo Andrea Vegliante

Da diversi anni realizza articoli, inchieste e videostorie nel campo della disabilità, con uno sguardo diretto sul concetto che prima viene la persona e poi la sua disabilità. Grazie alla sua esperienza nel mondo associazionistico italiano e internazionale, Angelo Andrea Vegliante ha potuto allargare le proprie competenze, ottenendo capacità eclettiche che gli permettono di spaziare tra giornalismo, videogiornalismo e speakeraggio radiofonico. La sua impronta stilistica è da sempre al servizio dei temi sociali: si fa portavoce delle fasce più deboli della società, spinto dall'irrefrenabile curiosità. L’immancabile sete di verità lo contraddistingue per la dedizione al fact checking in campo giornalistico e come capo redattore del nostro magazine online.