Il Disability Pride Month nasce dai fatti del Capito Crawl che negli Stati Uniti portarono a una rivoluzione che ancora oggi ha i suoi effetti
Una scena del Capital Crawl (Fonte foto screenshoot University of Texas at Arlington Libraries, Special Collections)
E se vi dicessimo che il Disability Pride Month nasce da una richiesta di maggiori diritti per le persone con disabilità fatta… Strisciando? Non stiamo scherzando, è quanto accaduto all’inizio degli anni Novanta degli Stati Uniti d’America, quando parlare di pieni diritti per le persone disabili sembrava un’eresia – ancora di più se parliamo di orgoglio.
Perché sì, il Disability Pride Month nacque da un’azione collettiva di persone stufe di essere discriminate sui posti di lavoro, tra i banchi di scuola e in tante altre occasioni, e sentivano l’esigenza di respirare aria di cambiamento.
Tuttavia all’epoca migliorare i diritti delle persone disabili richiese un’azione particolarmente iconica: strisciare e gattonare sui gradini del Campidoglio statunitense. L’obiettivo? Da una parte consegnare un’immagine su come la società tratti con disumanità le persone con disabilità, dall’altra mostrare come le stesse persone disabili non si arrendono neanche di fronte alle barriere architettoniche.
Nel corso degli anni il Disability Pride Month divenne un sentimento di profusione di orgoglio della disabilità, nata da una maggiore, quanto necessaria, richiesta di tutele per i diritti delle persone con disabilità.
È la mattina presto del 12 marzo 1990. Poco più di 700 persone, principalmente attivisti per i diritti delle persone con disabilità provenienti da tutti gli Stati Uniti, stanno marciando dalla Casa Bianca verso il Campidoglio. Il loro obiettivo è chiedere la repentina approvazione dell’ADA, l’Americans with Disabilities Act. I loro cori sono abbastanza eloquenti: “Cosa vogliamo?“, “Il nostro ADA”, “E quando lo vogliamo?“, “Ora“.
Ma come mai queste persone marciavano per una normativa non ancora approvata? All’epoca l’ADA era considerato un documento fondamentale per gli statunitensi con disabilità. Basti pensare che fino a quel momento l’unica legge dedicata alle persone disabili era il Rehabilitation Act (o Rehab Act), in vigore dal 1973, che proibiva la discriminazione basata sulla disabilità solamente all’interno dei programmi governativi. E basta.
E fu proprio questo il punto di rottura per persone con disabilità e attivisti: il testo non proibiva la discriminazione nella scuola, nel lavoro, nei ristoranti, nelle strutture sociali, nei trasporti. Insomma, i diritti non erano ampi.
Per questo motivo l’ADAPT, l’American Disabled for Accessible Public Transit, associazione nata nel 1983 in difesa dei diritti delle persone con disabilità, organizzò una marcia per chiedere la veloce approvazione dell’ADA, le cui bozze circolavano in Campidoglio. Quella marcia, andata in scena proprio il 12 marzo 1990, fu ribattezzata “Wheels of Justice“, e portò in piazza tantissime persone.
Questa manifestazione non passò alla storia solamente per la lunga marcia di persone con diverse disabilità che si riversarono nelle strade americane, ma perché qualche momento dopo accadde un evento che divenne il simbolo della lotta dei diritti per le persone con disabilità.
Come dicevamo precedentemente, il 12 marzo 1990 c’erano grossomodo 700 persone che marciavano verso il Campidoglio. Una volta arrivati, i manifestanti si radunarono sul lato ovest dell’edificio per ascoltare i discorsi e le invettive di alcuni rappresentati politici per le persone disabili e dell’ADAPT.
Tuttavia quella mattinata non fu scandita solo da monologhi e soliloqui verbali che chiedevano un repentino cambiamento delle condizioni di tantissimi cittadini statunitensi, ma anche da 60 manifestanti che abbandonarono le proprie carrozzine e stampelle per salire i 78 gradini che portavano al Campidoglio. E lo fecero gattonando e strisciando, alcuni addirittura venivano trascinati.
Tra i vari protagonisti di questa scalata viene ricordata Jennifer Keelan-Chaffins, una bambina di 8 anni con paresi celebrale che prese parte all’iniziativa, insieme alla madre Cynthia. Oggi Jennifer è un’educatrice, un’oratrice motivazionale e coautrice del libro per bambini “All the way to the top“. La piccola diventò ben presto il simbolo di quella scalata, anche perché rappresentava tanti bambini che, come lei, vivevano la scuola in classi separate, ostacolati da edifici e mezzi pubblici non accessibili ed emarginati dagli altri coetanei.
Jennifer e gli altri manifestanti che salirono le scale accompagnarono l’azione di disobbedienza civile non violenta da alcuni cori, come “Access Now” e “ADA Now“. Quella giornata passò alla storia con l’appellativo di Capitol Crawl, e nel corso della storia divenne la dimostrazione fisica dell’inadempienza del Governo statunitense nei confronti dei diritti delle persone con disabilità.
In quel caso le barriere architettoniche divennero un simbolo potente per richiedere con forza un (necessario) miglioramento delle condizioni di vita delle persone disabili. Tant’è che dopo la scalata dei gradini, il gruppo di attivisti e manifestanti incontrarono l’allora presidente della Camera Tom Foley e l’allora leader della minoranza alla Camera Bob Michels per chiedere di velocizzare l’approvazione dell’ADA.
Bob Kafka di ADAPT sintetizzò quell’azione come simbolo per “mostrare la nostra determinazione affinché nessuna barriera ci impedisca di ottenere i nostri diritti civili“.
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Il Capitol Crawl non fu l’unica azione a passare alla storia. Il giorno dopo, il 13 marzo 1990, i manifestanti tornarono alla carica, riunendosi nella Rotonda del Campidoglio per incontrare Foley, Michels e Steny Hoyer, principali sostenitori dell’ADA alla Camera.
Come sempre, l’obiettivo riguardava una veloce entrata in vigore della nuova normativa, ancora ferma. Tuttavia Foley e Michels non si impegnarono in tal senso, e così i manifestanti cominciarono a gridare all’interno dell’edificio “ADA Now“. Purtroppo 104 dimostranti furono arrestati ma, per essere portati via, gli arrestati dovettero aspettare l’arrivo di furgoni accessibili.
Di tutta risposta, il 14 marzo 1990 gli attivisti di ADAPT presero possesso della sala riunioni della Commissione Giustizia, degli uffici di Elmer “Bud” Shuster e di Hamilton Fish e di altri uffici. A fine giornata 64 membri dell’associazione furono arrestati.
Non ci volle molto perché il Capitol Crawl e le azioni degli attivisti e dei manifestanti portò a un risultato. Il 26 luglio 1990 l’allora presidente Geroge W. Bush firmò l’American with Disabilities Act, l’ADA appunto, di fronte a circa 3mila sostenitori e promotori dell’associazione, un “esercito nascosto” come definito dall’allora deputato californiano Tony Coelho.
La firma avvenne alla presenza di Evan Kemp, Presidente della Equal Employment Opportunity Commission (EEOC) e uno dei consiglieri a cui viene attribuito il merito di aver convinto il presidente americano a mettere i diritti civili delle persone con disabilità come priorità della sua amministrazione. Al momento della firma, Bush pronunciò le seguenti parole: “Lasciate che il muro vergognoso dell’esclusione venga finalmente a cadere (Let The Shameful Wall of Exclusion Finally Come Tumbling Down)”.
L’ADA fu un testo rivoluzionario, in quanto introdusse legislativamente l’esigenza di abbattere svariate barriere architettoniche, sociali e culturali nel campo del lavoro, degli enti pubblici, degli alloggi e dei luoghi aperti al pubblico, nelle telecomunicazioni e non solo. Fu il primo passo di un’importante rivoluzione umana.
I fatti relativi al Capitol Crawl e affini hanno dato vita a un forte sentimento di sensibilizzazione della comunità su temi riguardanti i diritti delle persone disabili. Azioni ed emozioni che hanno permesso l’approvazione definitiva dell’ADA, avvenuta nel mese di luglio, che quindi è diventato di diritto il mese del Disability Pride Month.
Un mese in cui viene posto l’accento sulla rivendicazione dell’orgoglio di essere una persona con disabilità. L’obiettivo dell’iniziativa è porre fine allo stigma sociale che accompagna qualsiasi persona disabile e a promuovere invece l’immagine in base alla quale la disabilità fa parte della diversità umana. Insomma, è un modo per celebrare se stessi e, contemporaneamente, migliorare la percezione e la consapevolezza che la società ha delle disabilità.
La prima celebrazione del Disability Pride si svolse nel 1990 a Boston, e fu ribattezzato Disability Pride Day. Invece nel 2004 Chicago si tenne il primo Disability Pride Parade.
L’ADA fu solo il primo di tante novità legislative internazionali che permisero alle società di armarsi di coraggio e prendere la stessa direzione. Di fatto nel corso degli anni altre nazioni si dotarono di leggi dedicate. Ad esempio nel 2002 Inghilterra, Scozia e Galles approvarono la Disability Discrimination Act, che nel 2010 venne sostituita dall’Equality Act. Invece nel 1995 in Irlanda del Nord fu introdotta la Disability Discrimination Act.
Purtroppo in Italia manca una normativa in tal senso: qualche anno fa ci provò il DDL Zan, ma sciaguratamente non fu approvato.
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Nel 2019 la scrittrice con paralisi cerebrale Ann Magill realizzò la bandiera dedicata all’orgoglio della disabilità. Diversamente dal vessillo che rappresenta la disabilità stessa, quella creata da Magill prevede uno sfondo nero sbiadito con 5 righe diagonali di colori diversi, ognuno con un significato:
La posizione delle strisce non è causale, in quanto indica l’esigenze delle persone con disabilità di superare le barriere della società. Inizialmente però le linee erano a zig e zag, ma nel 2021 vennero modificate in linee dritte per non arrecare fastidio alle persone con epilessia o disturbi all’emicrania.
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Fonti:
Ultima modifica: 09/07/2025