Il 30 marzo si celebrava a Parigi l’evento “100 days to go” per far luce sul campionato mondiale di para atletica che si svolgerà nella capitale francese dal 8 al 17 luglio 2023. Ebbene, siamo già a fine aprile, quindi mancano sempre meno giorni: il tempo sembra scivolarmi tra le mani, perdendosi tra un evento e l’altro.

Vi scrivo dall’aeroporto di Fiumicino, luogo non-luogo che mi permette paradossalmente di fermarmi un attimo, senza stress. Qui, seduta sulle sedie di plastica, con il viavai di gente e trolley di ogni tipo attorno a me, mi sento tranquilla e concentrata.

Vi dicevo, insomma, che si è svolta una giornata di sport paralimpico, in Place de la Repùblique, la stessa dove pochi giorni prima i manifestanti avevano imbrattato i monumenti per protesta contro la riforma delle pensioni. Ho ricevuto un invito a parteciparvi da parte di un’azienda produttrice di protesi e non sono mancata all’appello.

Oltre a me c’erano vari stand ed installazioni per far conoscere ai parisiens lo sport paralimpico in generale, con un focus sull’imminente evento d’atletica paralimpica. C’erano un campo di basket con le carrozzine a disposizione di tutti per delle partite amatoriali (secondo voi me lo sono lasciata scappare?), un pistino di atletica lungo 20m scarsi, uno stage con dj, postazione del getto del peso paralimpico, vari percorsi per le carrozzine ed anche una zona per la boccia paralimpica. Infine c’era la possibilità di provare degli scarponi con sotto montati dei piedi protesici, per permettere a chiunque di provare quella sensazione.

Io ho portato con me le mie protesi da corsa e da salto, per mostrarle ai curiosi. Certa che mi avrebbero chiesto di fare una corsetta, ho portato la lamina con la suola da jogging. Infatti, poco dopo il mio arrivo, si è creata davanti allo stand una capannina di bambini incuriositi che hanno iniziato a fare domande, in francese naturalmente. Io, non conoscendo la lingua a tal punto da poter dare risposte complesse, mi facevo un po’ tradurre dalle insegnanti e un po’ rispondevo con i gesti e le poche parole che conosco.

Mi son montata la protesi da corsa davanti ai loro occhi stupefatti e via, ho subito sfidato il gruppo ad una breve gara sul cemento. Due di loro si son galvanizzati al punto da correre alla linea di partenza ad aspettarmi. Così ho dato i comandi in inglese e abbiamo simulato un 15 metri di pura velocità. Erano felicissimi per il fatto di essere arrivati prima di me ed immediatamente son tornati verso di me per toccare la gamba “speciale” e fare qualche foto di classe.

Il secondo gruppo di cuccioli che ho incontrato avrà avuto circa 6/7 anni e le loro reazioni sono state meravigliose. Si son raggruppati vicinissimi a me, a tal punto da far intervenire l’insegnante per allontanarli un pochino: volevano toccare sia la protesi che la gamba vera per constatarne le differenze. Non è la prima volta che mi succede, quindi li lasciavo fare tranquillamente.

Le loro vocine erano così dolci e tenere che mi veniva da sorridere e rispondere come potevo, ancora una volta con il mio francese inventato. Ad un certo punto ho deciso di togliermi la protesi da corsa e mostrare loro direttamente la cruda realtà della gamba amputata.
Alcuni di loro hanno reagito con versetti di spavento, altri si sono avvicinati ulteriormente per toccarla. Io la muovevo e fingevo che avesse una vita propria, facendo delle vocine per rendere il tutto più divertente e naturale. Come un gioco insomma.

L’insegnante mi esortava a non farlo, ma io non l’ho considerata perché penso che il modo migliore per educare i piccini sia raccontando alcune verità senza troppe remore o maschere. I filtri appartengono agli adulti ed in questo caso non ci ho visto nulla di male nel mostrare la mia gambina amputata, anche perché non me ne vergogno, anzi, ne vado fiera.
Se sapesse, quell’insegnante, quante cose ho fatto grazie a questa piccolina!

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In tutto ciò, nessuno sembra essersi curato del fatto che ero in equilibrio sulla gamba buona! “Zitta e buona”, a sostenere il circo.

La giornata è proseguita tra interviste che si ostinavano a farmi in francese (alcune in inglese, per fortuna): io non mi faccio problemi nel lanciarmi con le lingue, ma devo dire che andare in tv nazionale con un livello di francese così basso è una scelta azzardata per i giornalisti stessi, che si portano a casa un commento basic tipo: “Sono molto contenta di essere qui. C’è tanta gente ed è molto curiosa di conoscere lo sport paralimpico, perché è qualcosa di meraviglioso”. Bah. Con tutte le parole che ho in canna… a volte bisogna limitarsi all’essenziale.

Poco dopo è stata la volta della corsetta “ufficiale” sul pistino di cui vi parlavo prima. Nella simulazione della gara (e ricordiamoci che tutti i miei eventi li devo far coincidere con il giorno di riposo, quello in cui non mi alleno…) ho persino finto di sbilanciarmi sulla linea del traguardo, come un photofinish. Mi hanno spremuta per bene, infatti, dopo un pranzo insieme ad alcuni atleti paralimpici francesi, è stata la volta della partita a basket, assolutamente volontaria e poi delle public relations finali, prima di concludere con un opportuno temporale, arrivato giusto in tempo per i miei saluti.

E via, su taxi, direzione Charles de Gaulle, l’aeroporto. I taxisti di tutto il mondo guidano come pazzi, ma nelle capitali raggiungono livelli al limite della denuncia.

E quando la giornata sembra finita, ti dicono che il tuo volo è cancellato. E la gente va in panico e tu ti ficchi in un hotel condividendo una suite con una sconosciuta passeggera per poi prendere l’indomani un treno diretto per Milano. Ma questa è un’altra storia.

Ecco perché ci ho messo tanto a scrivere, forse perché mi stavo ancora riprendendo dalla batosta di quelle giornate così impegnative.

Essere me non è sempre facile, ma mi piace da morire. Modestamente ahah.

Dimenticavo, save the date: https://wpaparis23.org

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Ultima modifica: 24/04/2023

Martina Caironi

La vita a 18 anni le ha fatto cambiare idea e prospettive in seguito all'amputazione della gamba sinistra. E’ diventata un’atleta paralimpica che ha scritto alcune delle più belle pagine dell’atletica leggera salendo, per l’Italia, sul gradino più alto del podio. E’ componente del consiglio internazionale degli atleti dell’IPC, ha girato il mondo, imparato lingue ma soprattutto è messaggera di positività ed inclusione. Per lei non si deve parlare di disabilità ma di abilità, di quello che le persone possono, devono fare, avendo ben presente gli obiettivi da raggiungere.