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Officina dei Sensi: “Prendiamo in cura un non vedente sotto ogni aspetto”

Parla il responsabile: "La presa in carico va fatta sui bisogni di quell'utente e non sulle prestazioni che erogo"

L’Officina dei Sensi è un centro polifunzionale sito ad Ascoli (Marche) dedicato alle persone con disabilità visiva e nato grazie alla collaborazione dell’Unione Italia dei Ciechi e degli Ipovedenti e dell’I.Ri.Fo.R. ETS, insieme alla Società Habilis Cooperativa Sociale Onlus.

Com’è possibile ipotizzare, dunque, l’Officina dei Sensi si rivolge a utenti e pazienti non vedenti, e si distingue da altre realtà per la sua varietà di servizi, che includono anche libri in braille pensati ad hoc in base alla propria patologia. Abbiamo intervistato il responsabile del Centro, Mirco Fava, per saperne di più.

Nell’Officina dei Sensi non c’è solo la parte medica, ma anche per esempio una sezione dedicata ai libri in braille. Come si è riusciti a mettere tutto ciò in un unico polo?

“I servizi dell’Officina dei Sensi hanno un punto in comune: si rivolgono a persone con disabilità visiva. Quindi il Centro svolge attività non solo riabilitativa, ma anche di servizio alle persone che hanno un deficit visivo, a prescindere dalla gravità delle malattie concorrenti. Ci rivolgiamo a tutto ciò che riguarda la vita di un non vedente, dalla nascita all’età adulta e anziana.”

Per quanto riguarda l’idroterapia, quant’è importante che un centro adotti delle terapie che possono nel tempo essere scoperte come rivoluzionarie nel campo medico?

“L’idroterapia è senza dubbio una delle attività che sta crescendo sempre più, perché è particolarmente indicato sul plurihandicap. È, oserei dire, una delle poche attività che hanno veramente un valore riabilitativo anche per persone con spasticità o tetraplegia.

Il problema dell’idroterapia è che non ha una regolamentazione: se un medico consiglia di andare in piscina, non è detto che lì ci sia una persona preparata. A prendersi carico del paziente molte volte è l’istruttore di nuoto, con rischio di fare danni.”

Foto di Jay Ferreira

Queste attività possono essere trattate come un mezzo di sensibilizzazione per tutta l’opinione pubblica: esistono delle terapie il cui limite è solo farle conoscere e renderle disponibili.

“Il limite è renderle disponibili attraverso una normativa, che oggi è carente. L’ambiente acqua è ancora in un limbo senza regole. Addirittura un terapista, se non ha un titolo abilitante all’acqua, non potrebbe fare terapia di questo tipo: un paradosso. Più volte abbiamo chiesto al ministero della Salute di intervenire, di creare dei tavoli di lavoro, di regolamentare o quanto meno di dividere tra competenze sportive e riabilitative. Ma ancora siamo in alto mare”.

L’Officina dei Sensi ha un accesso facilitato per quanto riguarda gli screening. È una vostra iniziativa oppure no?

“L’attività di screening è fondamentale sia per fare sensibilizzazione alla cittadinanza, anche all’interno delle scuole, per far capire che al mondo della medicina si arriva quando non si hanno i problemi. La prevenzione deve essere fatta quando il problema non c’è, soprattutto nell’ambito visivo. Solo in questo modo alcune patologie possono essere scoperte prima della loro manifestazione, quindi intervenire in maniera diversa rispetto a quando la patologia è già manifestata.

L’attività di screening è una cosa su cui puntiamo tantissimo. Non dimentichiamo che il nostro Centro pone sul tema della ricerca una grande importanza: ogni anno produciamo 3/4 lavori scientifici che vengono ammessi nei congressi di medicina internazionali.”

Foto di Jay Ferreira

Comunque l’Officina dei Sensi si basa su un lavoro multidisciplinare (come i libri in braille) che investe su diversi ambiti. Quant’è importante sottolineare che si lavora sulla qualità della vita del paziente?

“Noi prendiamo in carico una persona sotto ogni aspetto: quello scolastico, ad esempio, è fondamentale, perché riguarda un periodo di vita lunghissimo. Attraverso la scuola si gettano le basi per il futuro. Un ragazzo che non vede o che ha problemi visivi avrà bisogno di ausili e libri speciali che devono essere trascritti per lui: ogni persona ha un libro pensato per la sua condizione particolare.

Ma solo il libro cartaceo non basta, devono essere in grado di usare un pc con sintesi vocale, dei display braille e quant’altro. Quindi ci approcciamo agli utenti attraverso tutti gli aspetti e attraverso tutte le tecnologie più avanzate”.

Foto di Jay Ferreira

Voi accogliete pazienti di tutta Italia, ma questo sottolinea anche che la diffusione di centri simili sul suolo nazionale è molto limitata. Quanto sarebbe importante che le istituzioni agevolassero un percorso di crescita e diffusione di centri come il vostro?

“Premesso che in merito alle innovazioni delle ricerche sulla disabilità visiva l’italia è uno dei primi paesi al mondo, siamo anche uno dei paesi dove, fatta la ricerca, non viene data applicazione. Ciò che stiamo facendo è frutto delle ricerche che gli italiani hanno presentato nel mondo: lo abbiamo messo insieme e abbiamo creato un centro seguendo gli aspetti delle ricerche messe a disposizione.

Il Sistema Sanitario Nazionale prevede invece una frammentazione delle attività riabilitative, mettendo non sempre al centro la persona, ma le sue patologie. Noi dobbiamo prenderci cura non solo del bambino, ma anche di tutta la famiglia: i genitori spesso sono disorientati di fronte a una disabilità visiva o a patologie plurime.

Bisogna anche formare gli insegnanti, adattare gli spazi scolastici, bisogna creare un mondo attorno alla famiglia. Tutti gli interventi quindi non sono più segmentali, ma necessari esclusivamente per quel bambino. La presa in carico deve essere fatta sui bisogni di quell’utente e non in base alle prestazioni che posso erogare.

Ci sono molte prestazioni che non sono ancora contemplate nel Nomenclatore (come i percorsi di orientamento e mobilità e l’idroterapia): abbiamo ancora una grossa carenza tra quello che è il mondo della ricerca scientifica e l’applicazione di queste conoscenze nella vita quotidiana.”

Ultima modifica: 23/07/2020

Angelo Andrea Vegliante

Da diversi anni realizza articoli, inchieste e videostorie nel campo della disabilità, con uno sguardo diretto sul concetto che prima viene la persona e poi la sua disabilità. Grazie alla sua esperienza nel mondo associazionistico italiano e internazionale, Angelo Andrea Vegliante ha potuto allargare le proprie competenze, ottenendo capacità eclettiche che gli permettono di spaziare tra giornalismo, videogiornalismo e speakeraggio radiofonico. La sua impronta stilistica è da sempre al servizio dei temi sociali: si fa portavoce delle fasce più deboli della società, spinto dall'irrefrenabile curiosità. L’immancabile sete di verità lo contraddistingue per la dedizione al fact checking in campo giornalistico e come capo redattore del nostro magazine online.