Prestazioni assistenziali per gli immigrati disabili

L’INPS discrimina gli immigrati disabili in materia di accesso alle prestazioni assistenziali. Così ha stabilito il Tribunale di Pavia in seguito a un ricorso antidiscriminazione presentato da una cittadina salvadoregna in rappresentanza del figlio disabile.

L’ordinanza del Tribunale di Pavia

Immagine 8Con un’ordinanza emanata il 12 luglio scorso in accoglimento di un ricorso antidiscriminazione presentato da una cittadina salvadoregna in rappresentanza del figlio disabile e da ASGI e Avvocati per Niente ONLUS, il giudice del lavoro del tribunale di Pavia ha riconosciuto il carattere collettivamente discriminatorio posto in essere dall’INPS nel continuare a non dare effettiva attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 329/2011 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000 nella parte in cui subordina  l’accesso  – per gli stranieri di Paesi terzi non membri UE – alla prestazione sociale denominata indennità di frequenza, prevista dalla legge n. 289/1990,  e riservata ai minori disabili, al requisito della carta di soggiorno o permesso disoggiorno CE per lungosoggiornanti.  L’indennità mensile di frequenza è stata istituita con la legge n. 289/1990 e risponde alle esigenze di assicurare la cura, la riabilitazione e l’istruzione per i minori invalidi civili condifficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’ età ovvero ai minori ipoacusici oltre ad una certa soglia, in stato di bisogno. Con l’art. 41 del T.u. immigrazione, il legislatore aveva previsto la parità di trattamento per  gli stranieri extracomunitari titolariali di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno nella fruizione delle prestazioni di assistenza sociale. Con l’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000, l’accesso a tale beneficio sociale, così come a tutte le prestazioni di assistenza sociale previste quali diritti soggettivi dalla legislazione vigente,  è stato limitato unicamente a quelli stranieri titolari della carta di soggiorno (o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti di cui all’art. 9 d.lgs. n. 286/98). Tale limitazione è stata oggetto di censura dalla Corte Costituzionale già con  l’ordinanza n. 285 del 2009, nella quale il giudice delle leggi evidenziava l’incompatibilità dell’esclusione dei minori extracomunitari regolarmente soggiornanti ma privi di carta di soggiorno con  il principio di non discriminazione di cui alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con legge n. 18/2009. Con la successiva sentenza n. 329/2011, la Corte Costituzionale ha ribadito l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000, ricollegandosi ai ragionamenti già contenuti nella precedente sentenza n. 187/2010. In sostanza, la Corte costituzionale ha affermato che l’indennità di frequenza è un beneficio sociale che coinvolge beni e valori  di primario risalto nel quadro dei diritti fondamentali della persona: dalla tutela dell’infanzia e della salute, alla salvaguardia delle condizioni accettabili di vita, non solo economiche,  per il contesto familiare in cui il minore disabile si trova inserito, alle esigenze di agevolare la futura  inclusione sociale e lavorativa del minore disabile. Pertanto, alla luce dei parametri interpretativi posti dalla Corte Cost. con la sentenza n. 187/2010, tale beneficio sociale è destinato a consentire il concreto soddisfacimento di un bisogno primario inerente alla sfera di tutela della persona umana, che è dunque compito della Repubblica promuovere  e salvaguardare nel quadro del fondamentale principio di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost, non ammettendosi dunque discriminazioni fondate sulla nazionalità o sull’anzianità di residenza. Questo anche in ossequio agli obblighi internazionali scaturenti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e al principio di non –discriminazione da essa sancito all’art. 14.

L’inaccettabile comportamento di INPS e Ministero del Lavoro

Immagine 5Nonostante le chiare pronunce della Corte Costituzionale l’INPS ed il Ministero del Lavoro – cui spetta il compito di vigilanza generale sull’attività dell’istituto previdenziale –  hanno persistito nell’ inaccettabile comportamento  di continuare ad applicare la norma dichiarata incostituzionale, negando l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale previste dalla normativa nazionale, almeno in sede di prima decisione sulla richiesta inoltrata dagli stranieri disabili o loro rappresentanti legali regolarmente soggiornanti ma privi della carta di soggiorno, e costringendo i medesimi ad inoltrare un ricorso amministrativo ovvero rivolgersi all’autorità giurisdizionale per far valere i loro legittimi diritti. Inoltre,  l’INPS non ha mai provveduto ad informare con apposita circolare le proprie sedi periferiche  delle pronunce della Corte Costituzionale e nel proprio sito internet ha continuato ad indicare tra i requisiti per ottenere tali prestazioni, quello della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungosoggiornanti, diffondendo informazioni non corrette volte evidentemente a scoraggiare gli stranieri a presentare le istanze.

Il riconoscimento del comportamento discriminatorio

Il giudice di Pavia, con l’ordinanza ora emanata, riconosce in tale condotta dell’INPS un comportamento collettivamente discriminatorio nei confronti degli stranieri di Paesi terzi regolarmente soggiornanti e, di conseguenza, ordina all’INPS di far cessare tale condotta discriminatoria,  dando adeguata pubblicità al provvedimento giudiziario, comunicandolo a tutte le sedi periferiche INPS e ai patronati sindacali. Il giudice, inoltre, ordina all’INPS di  modificare la propria pagina internet, precisando che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 329/11, l’indennità di frequenza spetta a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti, anche se privi del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e alla sola condizione del possesso del permesso di soggiorno della validità di almeno un anno di cui all’art. 41 del TU immigrazione.

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