“Elena nella cidade maravilhosa” – Giorno 10 – Tante medaglie, infinite vittorie

17 settembre rio Lo so, sono in ritardo, ma spero potrete capire; c’è stato da fare. Ci sono stati gli ultimi brindisi, i sorrisi, lo stare insieme. C’è stato il ballare fino a tardi a Casa Italia uniti solo dallo spirito di far festa. C’è stato il saluto al “chioschetto” gustandoci l’ultima birra “Antartica” e l’ultima Agua de coco, ci sono stati sguardi complici ed altri di dispiacere.
E poi ci son stati i saluti, gli abbracci, gli arrivederci, e quelli che proprio non sopporto: gli addii. Sguardi lunghi una vita che racchiudono promesse come quella di rincontrarsi un giorno, prima o poi. 
La verità è che c’è stato poco tempo, troppo poco tempo per far tutto, per rendersi conto. E’ che ci si fa prendere dalla fretta, dalla preoccupazione di poter dimenticare qualcosa; quel tanto di adrenalina che, sfumata, accompagna qualsiasi viaggio. Sali sull’aereo, fai a spallate per prendere posto, ti siedi facendo un respiro profondo e in quel momento riaffiora tutto. Tutto quello che ti sei lasciato alle spalle, tutto quello che è stato e che poteva essere solo qui, a Rio de Janeiro. Ed il minimo che si possa fare, dal mio punto di vista, è celebrarlo. 

Il campione eterno

alvise 17 settembre rio Da quassù, dalla tribuna stampa, domino l’intero stadio. E’ tutto ai miei piedi, tutto ordinato nel grande caos che ci avvolge. Non c’è particolare che possa sfuggirmi, non c’è competizione che possa perdermi, è tutto nel mio campo visivo. Sto aspettando la gara di Alvise, i 400 metri. Sì, Alvise De Vidi.

Il campione eterno, come lo chiamo io. Colui che la storia la sta ancora facendo, e la scrive giorno dopo giorno. Dal nuoto, al rugby, all’atletica leggera. Da Seoul a Barcellona, da Atlanta a Sidney, da Atene a Pechino, da Londra a Rio. Sempre presente, tenace, costante, dedito, riconoscente. E perfezionista. Una carrozzina da corsa studiata nei minimi dettagli e che lavora ogni giorno, forse l’unica che conosca veramente l’Alvise atleta, il suo sudore e la sua fatica.
E’ lì sui blocchi di partenza, le mani sulle ruote, la testa leggermente inclinata verso il basso. E’ lì, tra tanti atleti più giovani di lui, sicuro di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti, quella consapevolezza che solo un alvise 17 settembre rio 01campione possiede. So che anche oggi ci stupirà, ma fin quando non vedrò il suo risultato impresso sul tabellone il mio cuore non smetterà di correre. Sono 400 metri, deve percorrere un intero giro di campo, deve essere costante e spingere, spingere fino all’ultimo secondo, senza cedere. Si mantiene tra la terza e la quarta posizione, mancano gli ultimi cento metri, è a un passo dal traguardo. E lo raggiunge, e lo supera, ed è bronzo. Alvise De Vidi: ancora una medaglia, un altro tassello da aggiungere, un’altra impresa che rimarrà nella storia. Bacia i suoi bicipiti, quei “muscoletti” (come li chiama lui) che non l’hanno deluso nemmeno stavolta, nonostante il periodo non proprio semplice che si sono lasciati alle spalle.

Sono un po’ deluso – dice Alvise appena arrivato in zona mista. – Potevo prendere l’argento.
Ma sono comunque contento, felice del risultato. Non sono salito sul gradino più alto del podio ma comunque ci sono salito, e questo ripaga tutti gli sforzi ed i sacrifici fatti fin ora.”

Le tipiche parole di un atleta che da se stesso pretende sempre il massimo. Quanta ammirazione che provo.

Sorelle d’Italia

monica e martina rio A fine gara ne approfitto per riprendermi e scrivere un po’ al centro stampa, per i 100 metri di Martina e Monica c’è ancora tempo. Posso carburare.

Martina, ormai abituata al sapore di vittoria, campionessa del mondo in carica dai capelli blu e affamata d’oro.
Monica, che vede nell’amica la propria fonte di ispirazione, colei grazie alla quale ha potuto conoscere il mondo paralimpico e quindi il suo secondo amore, l’atletica. Quella via di uscita che le ha cambiato la vita quando, da quel letto d’ospedale, credeva che niente sarebbe più riuscito a darle veramente un senso.

monica e martina rio A dividerle ci sono solo una corsia e innumerevoli pensieri, cose da ripetere nella mente, una sequenza di passi precisa, definita. E 100 metri dritti di fronte a loro. Nient’altro.
On your mark“, ripete una voce stereotipata. Cavolo, ci siamo già, è arrivato quel momento. Il momento in cui, in una manciata di secondi, tutto il lavoro di quattro anni prende forma e svanisce subito dopo, come un lampo che illumina una notte d’estate. Incredibilmente intenso e fugace. Semplicemente magnifico.
Martina è in testa, subito dietro la sua storica avversaria tedesca Vanessa Low. Ed in terza posizione ancora un cuore azzurro, quello di Monica! Ci sono entrambe le nostre donne, sono loro! La Low ad un tratto recupera Martina, quel secondo di scompenso in cui gli occhi giocano brutti scherzi e sembra quasi che la possa superare. Solo illusioni ottiche: le due velociste italiane sono entrambe sul podio. Martina, appena tagliato il traguardo, si butta in terra lasciandosi andare in un pianto liberatorio, un misto tra felicità e confusione, come se ancora debba realizzare. Monica corre da lei con le braccia verso il cielo ed i pugni stretti in segno di vittoria, una vittoria importante e meritata in occasione della sua prima Paralimpiade. Si sdraia accanto alla compagna di squadra abbracciandola e restando lì per qualche secondo; insieme vogliono gustarsi quel momento che solo loro sono in grado di comprendere fino in fondo. Ben fatto ragazze, siete state grandi. Sorelle d’Italia.

La Città delle Meraviglie

martina casa italia Ecco, l’agitazione scivola via di dosso, lentamente. Ora posso fare un respiro di sollievo e rilassarmi. Non c’è più tensione, le gare sono finite. L’Italia ha vinto, gli azzurri hanno vinto.
39 medaglie che si aggiungono a tante altre vittorie e conquiste anche senza “vista podio”, perché in tanti erano gli esordienti, quest’anno. E per ognuno di loro, per ognuno di noi, questa olimpiade è stata una conquista, una vittoria, un’occasione per crescere ed imparare, mettersi alla prova, sbagliare, riprovare e sbagliare di nuovo, per poi provare a fare di meglio.

Mi cambio rapidamente, per la festa finale a Casa Italia vorrei essere quanto meno presentabile.
Sergio e la sua Spin, con la solita gentilezza e la solita puntualità, sono pronti a condurci a destinazione.
Quando il sole tramonta, Rio de Janeiro inizia un nuovo giorno, solo di un altro colore. I palazzi ci salutano prendendo vita attraverso le loro mille luci, così imponenti nella notte scura ma senza far paura. Intorno a noi si snoda un numero indefinito di strade ma tutte, seppur popolate di macchine, appaiono incredibilmente armoniose. Quando il sole tramonta, su Rio de Janeiro cala un velo di fascino e stupore, quel sapore di nuovo che preavvisa l’alba di un altro giorno che sta per nascere.

oney e arjolaE così, mentre siamo a far festa, mentre le gambe si muovono a ritmo, le braccia sono verso l’alto e gli occhi ridono di gioia, la mente va, libera di andare. Facile lasciarsi trasportare dalle emozioni quando si ha la consapevolezza che qualcosa di speciale sta per finire; qualcosa che inevitabilmente ti ha cambiato la vita sta per concludersi e, trattandosi di un qualcosa di unico, non si ripeterà, non tornerà più indietro.
Quando gli occhi si chiudono le immagini scorrono rapide, alcune più luminose, altre appena più sfocate. Non necessariamente in ordine, semplicemente come la tua mente le propone; segui la sua logica.
So di essere fortunata, so di aver avuto l’occasione, a soli 24 anni, di vivere un’esperienza unica che in molti in vita loro non vivranno mai, e per questo mi sento privilegiata, enormemente onorata. Per questo e per tanto altro, vorrei dire grazie.

Grazie ad Assunta Legnante, l’incredibile donna in cui dolcezza e forza si fondono in un’unica nota armoniosa. Grazie a Bebe Vio, il cui urlo di gioia a partita vinta mi ha letteralmente paralizzata, un’onda così potente da non poter trovare altro sfogo se non nel pianto. Grazie a tutti gli atleti, quelli che sono andati a medaglia e quelli che non l’hanno fatto, grazie semplicemente di averci reso partecipi delle vostre conquiste.
Grazie a chi mi ha sostenuta, a chi mi ha insegnato e a chi mi ha ignorata, grazie a chi mi ha ostacolata e a chi, invece, mi ha sopportata. Grazie a chi mi ha dato la possibilità di esserci, grazie alle nuove amicizie e a quelle che, ogni volta, trovano conferma. Grazie a chi, nel bene o nel male, ha arricchito queste pagine dando vita a quello che voleva semplicemente essere uno sguardo diverso su un evento planetario quale è una Paralimpiade, uno “sguardo da bambina”.

mm3_5703E grazie a te, che silenziosamente ci hai accolti senza chiedere nulla in cambio, a te che ci hai regalato qualcosa che non ha prezzo, qualcosa di così vero ed irripetibile che nessuna parola al mondo saprebbe mai descrivere.

Grazie a te, che hai reso possibile tutto questo. Grazie, Città delle meraviglie.

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