Il tutorial di Primavera Paralimpica – dall’incidente alla rinascita

Davide Giozet, capitano tetraplegico  della Nazionale di Rugby in carrozzina, Stefano Travisani, paraplegico e campione mondiale di tiro con l’arco  e Giada Rossi, medaglia di bronzo a Rio 2016. Questi campioni dello sport paralimpico ti spiegano attraverso le loro personali esperienze qual è il percorso che porta un paziente dallo stato di degenza in ospedale fino alla pratica sportiva e, perché no, alle Paralimpiadi: la paura di non farcela, la riabilitazione occupazionale, fisica e sportiva e l’attività delle unità spinali sul territorio, la paura di non farcela, insomma, la strada che a partire dal giorno dell’incidente ti porterà a rinascere attraverso lo sport.

“Ho vissuto quella fase acuta che una persona come te, una persona che si trova in unità spinale sta vivendo, sono consapevole delle difficoltà e di come la vita in questo momento sia assolutamente nera. Si vede solo il grigio, non si vede la luce in fondo al tunnel. Il consiglio che posso dare io è quello di non mollare, di attaccarsi a quelle persone che si hanno vicino e che comunque danno supporto: possono essere la famiglia, gli amici…e di riuscire, per quello che posso dire io e che ho fatto, di avvicinarsi allo sport.”
(Davide Giozet)

Il giorno dell’incidente

“Ero in mountain bike con altri miei compagni di squadra, amici – racconta Stefano Travisani – una di quelle classiche giornate ormai da 3 anni a quella parte dove, con le nostre bici, prendevamo, andavamo in mezzo ai monti e…ci divertivamo.”

A causa della mancanza di protezioni esterne sono infatti pedoni, ciclisti e motociclisti ad essere maggiormente coinvolti in incidenti stradali, sono state più di 16.000 i ciclisti coinvolti in incidenti su un totale di oltre 175.000 incidenti stradali con lesioni a persone.

“All’età di 28 anni, alla fine dell’allenamento di calcio mentre rientravo a casa con la macchina, purtroppo, dopo un colpo di sonno ho perso il controllo dell’auto sbattendo contro il muro di una casa” rivela Davide Giozet.

Sono da considerare anche gli infortuni domestici che in Italia sono più di 4 milioni ogni anno: è il caso di Giada Rossi che a seguito di un tuffo in piscina ha avuto l’esplosione di una vertebra cervicale con la conseguente tetraplegia.

Le loro storie sono solo alcuni esempi delle varie situazioni che possono condurre a disabilità che ogni anno si verificano in Italia. Proprio per questo motivo il Comitato Italiano Paralimpico ha voluto lanciare un progetto per promuovere ulteriormente la pratica sportiva: Primavera Paralimpica.

Un tunnel senza via d’uscita(?)

“Come sono arrivato in Unità Spinale a Vicenza la diagnosi del medico è stata completamente diversa, mi disse: caro Davide, mi dispiace dirti che la tua lesione non ti permetterà più di usare le gambe”.

In Italia ci sono più di 90.000 fra paraplegici e tetraplegici ed il numero aumenta ogni anno di circa 1.800 persone.

Stefano racconta la sua esperienza, la prima reazione, la prima domanda che si è fatto: “La sensazione è stata come spegnere un interruttore. Sinceramente non sapevo neanche a cosa stessi andando incontro, perché io avevo il para-schiena ma…cosa vuol dire rompersi le schiena?”

Continua Giada Rossi: “Nel momento in cui ho scoperto che non avrei più utilizzato le gambe ho dovuto in qualche modo di adattarmi a questa nuova vita ed iniziare un percorso riabilitativo molto lungo.”

La paura

Stefano Travisani spiega che la paura per lui è stata una parte fondamentale, soprattutto dei primi mesi, che ti catapulta in una situazione che è molto più grande di te, ignota, che non conosci in cui si impara ogni giorno a risentire il proprio corpo, a lottare per dei piccoli movimenti che prima erano scontati e che non lo sono più. “Mi sono chiuso in me stesso. Mi sono chiuso in casa. La vita era finita” chiude Giozet.

Chi può aiutarti

Gli amici ti saranno vicini, a Stefano hanno subito regalato il mirino dell’arco ancora prima che lui avesse un arco. Questo lo fa ridere, è un ricordo che lo rallegra: “Forse avevano capito anche loro che solo parlarne mi faceva stare bene” dice. ”

La famiglia – aggiunge Davide – mi ha sempre appoggiato, incoraggiato su quella che era la mia situazione in quel momento, mi hanno sempre dato stimoli nuovi per permettermi di affrontare la mia nuova vita nel migliore dei modi.”

Giada parla di uno sforzo condiviso, di una strada che non ha dovuto affrontare da sola ma insieme alla sua famiglia ed alle persone che le erano vicine: “Ho cercato di far capire alle persone che mi erano affianco che se io stavo bene, anche loro potevano stare bene.” 

Unità Spinale: la riabilitazione

Le prima terapie sono quelle di tipo riabilitativo. Con i fisioterapisti si praticano esercizi di ginnastica attiva/passiva a braccia e gambe cercando di recuperare il più possibile l’autonomia fisica. Un altro tipo di terapia è quella occupazionale, fondamentale, poiché il terapista occupazionale insegna quelle piccole, semplici cose per recuperare il controllo della tua vita a partire dall’alzarsi dal letto, a lavarsi i denti, al mangiare in autonomia.

“Ad ogni paziente veniva destinato un fisioterapista, per me è stata la prima persona che mi ha fatto capire che con un duro lavoro (solo alzare un braccio era difficoltoso, io avevo una lesione cervicale e quindi avevo anche in parte precluso l’utilizzo degli arti superiori) si possono ottenere buoni risultati. Tutti i giorni mi metteva sul letto e mi faceva lavorare, lavorare anche in autonomia facendomi capire che solo con il lavoro sarei riuscito ad uscire da quella situazione” spiega il capitano della Nazionale Rugby.

I fisioterapisti sono un supporto importante, poiché stimolano il paziente a reagire. In una prima fase prevengono possibili complicanze e addestrano il paziente a posizionarsi, mentre in un secondo momento aiutano a rafforzare i muscoli in palestra sottoponendo il paziente ad esercizi terapeutico-riabilitativi e sostengono nelle attività propedeutiche allo sport.

Giada infatti specifica che un altro aspetto fondamentale è quello sportivo: “Mettiamo in campo tutta una serie di meccanismi, di movimenti che poi ti servono nella vita quotidiana. L’importante è poi raggiungere un’autonomia e se lo sport ti può dare questo grande impulso diventa fondamentale per la vita di ogni persona.”

Poi Travisani conclude: “Il primo sport che ho dovuto fare per recuperare i muscoli del tronco, quindi della schiena, è stato proprio il tiro con l’arco.”

Unità Spinale: lo sport

Il Comitato Italiano Paralimpico ti indirizza verso la società sportiva nella tua zona e infatti, dice Giada Rossi: “Accanto alle classiche figure del terapista e del fisioterapista troverai anche dei tecnici inviati dal Comitato che ti permetteranno di avere esperienza di diverse pratiche sportive. Questi tecnici sono molto preparati e competenti e saranno in grado di aiutarti nella scelta di una pratica sportiva più adatta alle tue capacità.”

Proprio alla luce di ciò, Davide conferma: “Sono stato avvicinato alla piscina, al nuoto, son stato portato a fare tennis tavolo, mi hanno portato in un campo di atletica dove stavano facendo un meeting in zona Vicenza in cui vedevo anche ragazzi in carrozzina e lì ho conosciuto anche i primi atleti che poi sono diventati miei amici, perché mi hanno poi indirizzato ad altri sport che potevo praticare”.

Travisani poi aggiunge, parlando del suo caso: “Ha fatto tanto l’istruttore, Giuseppe, che era lì a Montecatone. E’ riuscito a trasmettermi quella voglia di provarci!”

Scegli uno sport, trova la società più vicina

All’interno dell’Unità Spinale potrai trovare degli sportelli o comunque del personale del Comitato Italiano paralimpico che sarà in grado di supportarti anche una volta tornato a casa e di indicarti la società più idonea alla pratica che all’interno dell’US hai provato e hai scelto.

La società sportiva è, infatti, quella che ti permette di continuare a svolgere al meglio il tuo sport preferito fuori dalle mura ospedaliere: “Sono tornato a Milano sapendo già quale sarebbe stata la società che avrebbe potuto ospitarmi” racconta Stefano.

“La società è quella che ti indirizza a fare uno sport, è quella che ti sostiene nel fare lo sport, è quella che grazie anche ai volontari che vi gravitano attorno ci permette di fare quello che vogliamo fare…noi non chiediamo altro che avere la possibilità di poterci allenare, di poter giocare” chiude Giozet.

Stai in mezzo alla gente, recupera autonomia, diventa un campione

Davide inoltre spiega quanto sia importante lo sport ai fini della rinascita: “Lo sport ti permette di stare in mezzo alla gente divertendoti, ti permette di acquisire tutte quelle autonomie che stando a casa sul divano non riusciresti mai ad acquisire. Stare in mezzo a persone che hanno le tue stesse problematiche ti permette anche di rubare con l’occhio, capire e superare quelle piccole difficoltà che solo vivendole possono essere superate”.

Giada parla dei suoi successi: “Quello che è iniziato come un gioco mi ha portata a raggiungere le prime convocazioni in Nazionale. In seguito agli allenamenti, al sacrificio e al lavoro che ci ho messo e grazie alle persone che mi hanno aiutato, sono riuscita a vincere i miei primi tornei internazionali fino a guadagnarmi la qualifica per le Paralimpiadi di Rio.”

“Uscire, buttarsi, non aver paura di niente. In Italia il movimento paralimpico sta crescendo, ci sono sempre nuove società e nuovi sport, ci sono sport per tutti. Non vi fermate di fronte al primo sport, perché io ne ho provati tanti e ognuno trova le caratteristiche e lo sport più adatto per quello che è la propria disabilità, le proprie capacità residue.”
(Davide Giozet)

“Lo sport diventa la parte fondamentale della tua vita. Dopo quello che ti è successo, avere un’occasione, un’opportunità, una ragione…diventa una ragione di vita.”
(Stefano Travisani)

“A Rio poi il sogno è diventato veramente più colorato…sono riuscita a conquistare una bellissima medaglia di bronzo. Questo mi ha dato una grandissima consapevolezza di me stessa e mi ha dato l’opportunità di continuare a credere in questo sport che mi sta dando veramente grandissime emozioni che io voglio continuare a vivere al 100%, e sono comunque riuscita a capire che lo sport è diventato davvero la mia vita.”
(Giada Rossi)

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