Sterilizzazione dei disabili: nuovo strumento di diritto?

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Succede a Londra e  non è certo una notizia che può passare inosservata. La Court of Protection, il tribunale che si occupa di salvaguardare i diritti delle persone in difficoltà, ha deciso di sterilizzare forzatamente una donna trentaseienne affetta da una disabilità mentale. Il caso è stato valutato attentamente  dal tribunale inglese e la decisione è giunta dopo aver considerato non solo le condizioni psico-fisiche della donna ma anche la sua impossibilità accertata di potersi prendere cura di un altro bambino. La donna, infatti, sarebbe già alla sesta gravidanza ma, a causa della sua patologia, non sarebbe stata in grado in passato di prendersi cura dei figli, che ha costretto a vivere in pessime condizioni nelle case d’accoglienza.

Le riflessioni sulla sterilizzazione dei disabili

Analizzare la situazione non è cosa facile. Da una parte, viene da chiedersi: perché mettere al mondo dei figli a cui non si può garantire una vita dignitosa? Questa donna, secondo le dichiarazioni, risulta incapace di prendersi cura di sé e dei propri figli. Un provvedimento  si rende quindi necessario e la sterilizzazione sembra essere il mezzo più efficace. La recente citazione di Papa Francesco “non fate figli come conigli” sembra cadere a pennello. La maternità, infatti, come la paternità, è una scelta responsabile e questo obbliga padre e madre a tener conto delle conseguenze. Inoltre, c’è la questione del loro “costo sociale”, il costo che lo Stato, o meglio, gli altri cittadini si accollano per dare loro una casa, un’istruzione e tutta l’assistenza di cui hanno bisogno, a cui evidentemente la famiglia non pensa.

Dall’altra parte, però, si aggiungono altre considerazioni. La responsabilità è solo della madre? Perché non è stata decisa la sterilizzazione del padre (che secondo alcune fonti sarebbe sempre lo stesso)? E la famiglia dei due ragazzi? La sfera sessuale è privata e personale ma questo non implica che non vi debba essere un’educazione sessuale alle spalle. D’altronde, tutti noi a scuola abbiamo assistito almeno ad una lezione su come avere rapporti sessuali protetti; in alcuni istituti addirittura, al posto delle merendine, nelle macchinette si vendono i profilattici.

Il caso richiederebbe un approfondimento molto più accurato; solo così si potrebbe dare un’opinione senza cadere nel banale “perché non l’hanno fatto prima?”. Quel che è certo è che la sterilizzazione dei disabili rappresenta una decisione drastica da cui non si può più tornare indietro, in qualsiasi situazione. E nemmeno si può pensare di risarcire un diritto così importante come il diritto alla procreazione.

I precedenti

Date le numerose domande lasciate in sospeso nei paragrafi precedenti, la sentenza londinese sembra essere destinata ad aprire ampi dibattiti. Ma non è la prima che viene emessa in questo campo. Già un anno e mezzo fa, infatti, nell’agosto del 2013, un ritardato mentale, già padre di un bambino nato da una relazione pluriennale con una ragazza affetta dagli stessi disturbi, è stato obbligato a sottoporsi ad una vasectomia “nel suo migliore interesse”.

I precedenti non mancano, quindi, nella giurisprudenza internazionale. Ciò vuol dire l’utilizzo della  sterilizzazione dei disabili come strumento di “correzione” non è più un’ipotesi ma una realtà con cui dobbiamo confrontarci.

C’è chi parla di buon senso. Allora la domanda è: quanto sottile è il confine che separa il buon senso dall’eugenetica?

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