Il Re del basket – Carlo Di Giusto

Ex cestista, inizia con il Santa Lucia Sport di Roma, atleta paralimpico e allenatore di pallacanestro. Colpito da poliomielite, oltre al basket pratica l’atletica leggera dove nel lancio del disco vince un bronzo a Stoke Mandeville; nel 1981 vince il primo scudetto di basket in carrozzina con il Santa Lucia Sport di Roma per vincere poi 20 titoli italiani, 10 coppe italia, 3 supercoppe, 3 coppe campioni e 3 coppe Vergauwen. Dal 2002 al 2007 è commissario tecnico della nazionale di basket in carrozzina, partecipa e vince gli europei nel 2003 e nel 2005, sesto posto alle paralimpiadi di Atene 2004 e ottavo posto ad Amsterdam nel 2006. E’ con noi Carlo Di Giusto.

La grinta di Carlo Di Giusto

Carlo Di Giusto“Ricordo a Stoke Mandeville – racconta Carlo Di Giusto – una delle mie prime esperienze a livello internazionale, giocavamo contro l’Australia, c’era Claudio Tombolini, che adesso ha smesso di giocare, e uno dei giocatori australiani si avvicinò, gli mise la pedana della carrozzina sotto e lo cappottò e poi gli sputò… Io ero vicino a lui, il mio primo istinto fu – aveva i baffi questo giocatore – di prenderlo per un baffo e di sollevarlo quasi dalla carrozzina… Gli dissi: devi rispettare gli avversari altrimenti nemmeno tu sei rispettato!”

“La vena si gonfia, però è un mio modo di essere, poi, come molte persone che mi hanno conosciuto dicono, sono il gigante buono…l’orso senza unghie… E’ ovvio che ho avuto i miei momenti fisici…non tanto nel basket…ci sono state delle situazioni legate purtroppo alla mia disabilità, mi è accaduto spesso: non ti meno perchè sei zoppo, come si usa dire a Roma…magari quello dopo due minuti si ritrovava per terra con due pizze sul viso… Erano situazioni legate anche all’età…con il tempo cerchi di diventare più saggio…”

La scuola

“La scuola – prosegue Carlo Di Giusto – l’ho vissuta in due modi completamente diversi: c’era la parte didattica dove comunque riuscivo ad imporre quella che è ancora adesso la mia forza, la memoria. Io sono sempre stato una persona con una memoria abbastanza forte e quindi anche se non ero un grosso studioso riuscivo ad arrangiarmi e a portare avanti lo studio in maniera positiva; poi c’era la parte legata all’educazione fisica che era il momento più triste e che mi metteva anche della rabbia perchè, soprattutto quando ho frequentato il liceo scientifico a Roma nel quartiere dell’Eur, una scuola degli anni ’40/’50 dove la palestra era al secondo piano senza ascensori e quindi per me era già difficile raggiungerla ed in più venivo esonerato d’ufficio perchè nessuno si prendeva la responsabilità di farmi fare anche il minimo esercizio…”

Carlo Di Giusto si avvicina allo sport

Carlo Di Giusto“Un giorno, un professore che non dimenticherò mai, che aveva una leggera zoppia legata ad un infortunio di gioco, era un pallavolista, che mi fece andare in palestra e mi chiese cosa mi sarebbe piaciuto fare… Beh, una gara alla corda o alla pertica che mi mise di fronte ai compagni della classe e, avendo io nell’uso degli arti superiori un aiuto importante, loro stavano sotto, dovevano ancora partire mentre io avevo già toccato il soffitto!”

“Il basket…la prima volta nel 78 grazie a Massimo Goretti, che purtroppo è scomparso, che all’epoca giocava nella squadra di Ostia, mi vide e mi fermò davanti ad un bar…però io ero ancora indeciso se studiare, frequentare l’università, su cosa fare della mia vita…non lo ascoltai…si allenavano al Velodromo, all’Eur, dove s’era la sede della federazione… Dopo due anni, insieme al prof. Antonio Maglio, si era trasferito al Santa Lucia e quindi venne di nuovo a cercarmi e mi disse che giocava in una squadra a 3km da casa mia…”

“Andai una sera ad un allenamento, entrai in questa palestra, dei ragazzi si stavano allenando, le carrozzine ovviamente non erano quelle attuali…in una fase di gioco due di loro caddero a terra. La maggior parte di giocatori all’epoca erano paraplegici, quindi cadendo a terra le carrozzine per inerzia si allontanavano ed uno dei due guardò l’altro e gli disse: il prossimo fallo che mi fai di questo tipo ti spezzo le gambe! Io mi girai verso Massimo che era lì vicino a me e gli chiesi l’indomani a che ora si sarebbero allenati… Da lì è iniziato il mio percorso sportivo…c’era stato come un qualcosa che mi aveva detto…noi facciamo sport, non sentiamo nulla di diverso…”

Il Santa Lucia

Carlo Di Giusto“Il Santa Lucia – spiega Carlo Di Giusto – da 35 anni è stato una parte fondamentale della mia vita, mi ha aiutato perchè mi ha permesso di sfogare quella che era la mia fisicità grazie allo sport…appena arrivato facevo atletica leggera, lancio del disco, pentathlon, sollevamento pesi oltre la pallacanestro. Mi ha poi aiutato a scoprire un mondo veramente infinito e bello che, fra le altre cose, mi ha aperto la mente al rispetto, a cosa significa avere un gruppo, una famiglia, a condividere gioie e dolori ed è stato per questo che ad un certo momento del mio percorso sportivo ho scelto di fare solo la pallacanestro…”

Nell’80 sono anche entrato a lavorare al Ministero degli Interni. Finivo di lavorare alle 2.00 e andavo direttamente al Santa Lucia saltando anche il pranzo, prendevo la mia carrozzina, me l’iniziavo a sistemare, tiravo e giravo da solo poi alle 5.00 arrivava la squadra, quindi continuavo l’allenamento con la squadra fino alle 8.00 e la sera arrivavo a casa che ero veramente stanco, però ripagato da tutto quello che era stato il sacrificio quando ho iniziato a raggiungere dei risultati vincendo ed essendo additato da tutti come uno dei giocatori più forti dell’epoca e anche come un giocatore rispettoso dei ruoli…

L’allenatore

“Ci sono dei momenti in cui scerzo, rido, lascio scaricare le tensioni, poi ci sono dei momenti che urlo, entro in campo, mi faccio sentire…e questa per mia fortuna è stata un pò la mia caratteristica che mi ha permesso in certi momenti di saper gestire dall’atleta che proviene dal vivaio al professionista più famoso al mondo riesco a trattarli tuttinella stessa maniera…in quel momento mi trasformo, Dr Jekyll e Mr Hyde, dentro una palestra loro per me sono degli atleti, non faccio favoritismi…quello che mi interessa è che loro mi rispettino, perchè io li ho voluti, cerco di crescerli, di rispettare le mie decisioni, poi possiamo discutere e parlare degli eventuali correttivi…”

Il tricolore

“Il tricolore è qualcosa che purtroppo tanta gente non sente, quello che invidio a tantissime nazioni il senso di appartenenza, il senso di rappresentare comunque un paese, quando ho la maglia azzurra addosso rappresento l’Italia, rappresento qualcosa di positivo che c’è in Italia perchè comunque lo sport è positivo, rappresento poi il movimento paralimpico, rappresento poi il movimento del basket in carrozzina, la federazione, le società e tutti quelli che comunque fanno parte del nostro mondo. Penso che sia fondamentale far capire ed insegnare agli atleti il rispetto della maglia per quelli che ci hanno preceduto e di insegnamento per quelli che verranno dopo di noi…”

Vino e vittorie!

“Non potrò mai dimenticare nel 2003 la vittoria agli Europei per diversi motivi: primo, un europeo che si giocava in casa, primo europeo da allenatore della nazionale, e poi, partire da outsider con squadroni come Olanda e Inghilterra…è stata una bellissima esperienza. A fine europeo era presente Luca Pancalli che mi volle fortemente nel 2002 ad allenare la nazionale, tutti insieme siamo andati in un ristorante di Alghero a festeggiare e brindare…ovviamente con del Vermentino! Come era giusto per rispetto alla regione che ci ospitava…”

“Nella mia infanzia, nella mia esperienza di vita, avendo delle origini contadine, mio padre e mia madre sono abruzzesi, la mia estate era legata a vivere la campagna, quindi quando arrivava la vendemmia, quando arrivava la produzione dell’olio, per me significava dover rientrare a Roma e iniziare la scuola… e poi il matrimonio con Stefania Marson, la figlia di Roberto Marson…il cognome non può far altro che tradire le sue origini friulane, della provincia di Pordenone…mi hanno aiutato a conoscere il vino, soprattutto del nord, in maniera più profonda e a casa sua spesso e volentieri anche nell’azienda, la Parussa, dove ancora producono vino, ho avuto la possibilità di provare dal Tocai, al Riesling, dallo Chardonnay al Sauvignon al Pinot, perchè di solito prediligo il vino bianco perchè – conclude Carlo Di Giusto – riesco a mantenermi più lucido anche prima delle partite…!”

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