La firma genetica dell’Alzheimer

Anche nel tessuto cerebrale di persone giovani e sane possiamo trovare delle zone vulnerabili dove i geni anti demenza, quando non funzionano, non fermano più l’accumulo delle proteine tau e beta-amiloide che in tarda età portano alla patologia dell’Alzheimer.

Firma genetica

La mappa

Questo studio è stato fatto da un ricercatore italiano che lavora all’Università di Cambridge, Michele Vendruscolo, ed è stato pubblicato su Science Advances, e viene considerato come la mappa delle aree neurali più deboli, spiegando come la malattia inizia e si diffonde sempre nello stesso modo nel nostro cervello, e con queste informazioni potremmo capire se una persona, ancora giovane e sana, ha un alto rischio di ammalarsi, e quindi cercare di prevenire questo danno il più presto possibile.

Lo studio

Sono stati studiati 500 campioni di tessuto cerebrale di persone giovani e sane e campioni di persone morte di Alzheimer, e da questo confronto si è visto che nel cervello giovane e sano, già si trovano delle zone vulnerabili in cui c’è scarsa protezione da parte dei geni che proteggono dall’Alzheimer.

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Infatti il Prof. Vendruscolo dice: “L’Alzheimer progredisce sempre in modo molto caratteristico, uccidendo tessuti cerebrali specifici e sempre nella stessa sequenza. Finora è stato molto poco chiaro, per esempio, perché la malattia parte sempre dalla corteccia entorinale, per poi progredire ad altre aree specifiche. Da questo studio abbiamo rilevato che, in una persona giovane e ancora perfettamente sana, i tessuti che in tarda età vengono attaccati dall’Alzheimer presentano livelli di funzionamento ridotti dei geni protettivi anti-demenza. In altre parole, l’Alzheimer attacca i tessuti in cui le difese contro l’aggregazione di beta-amiloide e tau sono meno efficienti”.

Quando ci ammaliamo

Firma geneticaPerchè ci ammaliamo di Alzheimer? Ci ammaliamo quando si rompe l’equilibrio tra il processo di aggregazione di proteine e i processi di controllo che corrispondono, in particolare quelli che prevengono la formazione di aggregati e quelli che li rimuovono.

Il lavoro che si deve fare in futuro sarà capire come si rompe questo equilibrio, e cercare di capire quali sono gli individui più a rischio, quindi lo studio su persone giovani e sane è di fondamentale importanza.

Le neurostatine

La futura sfida è quella di mettere a punto dei farmaci che possano proteggere le aree del cervello deboli e a forte rischio Alzheimer. Lo stesso Prof. Vendruscolo, in collaborazione con le Università di Groningen, in Olanda, e di Lund, in Svezia, ha pubblicato una ricerca internazionale che tiene in considerazione l’uso delle neurostatine, che dovrebbero aggredire fin da subito la proteina beta amiloide che costituisce le placche senili della neuro-degenerazione coinvolta nella malattia dell’Alzheimer.
 

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