Alzheimer, nuova luce sul meccanismo che causa la malattia

AlzheimerVa ad un gruppo di ricercatori italiani il merito di aver fatto luce su quello che potrebbe essere il reale meccanismo responsabile dell’Alzheimer, una forma di demenza che in Italia colpisce circa 600.000 persone over 60. I risultati dello studio, pubblicati su Nature Communications, fanno ben sperare in termini di soluzioni terapeutiche efficaci.

Lo studio

Tutto merito ‘nostro’. Stavolta, è il caso di dirlo. E’ infatti grazie al lavoro svolto dall’equipe di ricercatori italiani coordinati da Marcello d’Amelio (associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma) che sono emersi nuovi dati importanti per ciò che riguarda il tanto temuto morbo di Alzheimer, la forma di demenza più diffusa che ha come sintomo più evidente la perdita progressiva della memoria. 

Dunque, la causa della malattia non andrebbe ricercata nell’ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale coinvolta primariamente nelle funzioni della memoria, ma in quell’area del cervello deputata alla produzione di dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale non soltanto per la comunicazione tra cellule nervose, ma anche per ciò che riguarda i meccanismi di controllo e regolazione del tono dell’umore
Infatti la mancata o scarsa produzione di dopamina, dovuta all’assenza dei neuroni che la producono, va a determinare un malfunzionamento dell’ippocampo anche se le cellule che lo compongono sono integre, con conseguente perdita progressiva di memoria. 

Finora gli scienziati si erano focalizzati sull’area da cui dipendono i meccanismi del ricordo (l’ippocampo appunto) ritenendo che fosse la progressiva degenerazione delle cellule stesse dell’ippocampo a determinare l’Alzheimer. La zona deputata alla produzione di dopamina invece (l’area tegmentale ventrale) non era stata fino a questo momento indagata principalmente perché si trova in una zona in profondità del cervello, difficile anche da studiare con le tecniche neuro-radiologiche disponibili. 

Lo studio ha inoltre dimostrato che i neuroni tegmentali rilasciano dopamina anche nell’area che controlla i disturbi dell’umore garantendone il buon funzionamento. I cambiamenti del tono dell’umore quindi non sarebbero una conseguenza dell’Alzheimer ma piuttosto andrebbero considerati come una sorta di ‘campanelli d’allarme’.

Conferme dei dati raccolti sono arrivate anche da un ulteriore esperimento che gli scienziati hanno effettuato somministrando a test animali due differenti terapie: una a base di L-dopa, un aminoacido precursore della dopamina ed una a base di inibitore della degradazione della dopamina. In entrambi i casi gli animali hanno mostrato un recupero completo della memoria ed un totale ripristino della facoltà motivazionale e della vitalità.
Questi risultati hanno così potuto spiegare perché la terapia a base di inibitori della degradazione della dopamina mostri degli effetti positivi soltanto nelle prime fasi della malattia. Con la perdita totale dei neuroni deputati alla produzione del neurotrasmettitore infatti, il farmaco non risulta più efficace.

Ed ora?

Sicuramente, spiega Marcello d’Amelio, sarà necessario affidarsi a tecniche neuro-radiologiche più efficaci per poter studiare in maniera approfondita l’area tegmentale. Inoltre, poiché anche il morbo di Parkinson è causato da una degenerazione delle cellule che producono dopamina, sarà possibile pensare a delle strategie terapeutiche comuni per evitare la morte di questi neuroni. 

 

Potrebbero interessarti anche:

Memofilm, curare l’Alzheimer con la creatività

La firma genetica dell’Alzheimer

Assistenza domiciliare nell’Alzheimer

Alzheimer, da cosa si scatena la malattia

Ping pong terapia contro l’Alzheimer

Alzheimer e diagnosi precoce

Donne famose con il morbo di Alzheimer

Come si manifesta l’Alzheimer

Forme familiari dell’Alzheimer

ARTICOLI CORRELATI